Par condicio e intervento dei creditori
I creditori legittimati all’intervento
Innanzitutto, è stato riformato l’art. 499 c.p.c. che legittima all’intervento, da un lato, i creditori in possesso di titolo esecutivo, dall’altro, i creditori che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati, oppure erano titolari di un diritto di pegno o di prelazione risultante da pubblici registri.
L’elencazione contenuta al 1° comma dell’art. 499 non è, però, esaustiva, dovendo essere integrata dalle altre previsioni normative che consentono il legittimo intervento nel processo espropriativo di creditori non titolati. Tra queste, innanzitutto, l’art. 2812 c.c. il quale, visto che le servitù, i diritti di usufrutto, di uso e d’abitazione -inopponibili (perché trascritti dopo l’iscrizione) al creditore ipotecario, che quindi può far subastare la cosa come libera, si estinguono con l’espropriazione del fondo - prevede che i titolari di tali diritti possano fare valere le proprie ragioni sul ricavato, con preferenza rispetto alle ipoteche iscritte successivamente alla trascrizione dei diritti medesimi.
Vanno, poi, senz’altro inclusi tra i legittimati all’intervento, quei creditori che abbiano conseguito un provvedimento d’urgenza per condanna al pagamento di somme, in quanto tale titolo, pur essendo di natura cautelare, giustificava (e giustifica) ai sensi dell’art. 669 duodecies c.p.c. l’espropriazione nelle forme del Libro III, escluse soltanto le formalità preliminari della notifica del titolo esecutivo e del precetto.
Alla luce di tali previsioni sulla legittimazione all’intervento, il disegno del legislatore del maggio 2005 sembrava quello di fissare nel possesso del titolo esecutivo “l’unico valido passepartout per accedere ad un’esecuzione individuale da altri promossa” con le “eccezioni” e le aggiunte appena viste. Disegno che, peraltro, riprendeva gli obiettivi a base del progetto di riforma elaborato dalla Commissione presieduta dal Prof. Tarzia un decennio prima, ossia “recuperare la centralità del titolo esecutivo e depurare, per quanto possibile, l’esecuzione dagli incidenti cognitivi causati dalla presenza di creditori sine titulo, onde consentire alla procedura di addivenire ad una migliore funzionalità, efficienza, celerità”.
Queste furono fondamentalmente le idee che costituirono gli assi portanti della riforma, fino a ricostruire su un nuovo assetto l’intero processo di espropriazione forzata.
Tuttavia, il nuovo equilibrio, basato sulla centralità del titolo esecutivo, venne ben presto turbato, con le modifiche apportate dall’art. 1 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, dall’introduzione di una nuova categoria di creditori non titolati ammessi all’intervento, ossia i titolari, al momento del pignoramento, di crediti di somme di denaro risultanti dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.
Ai sensi del novellato secondo comma dell’art. 499 c.p.c., tali creditori possono intervenire nell’esecuzione forzata da altri promossa depositando l’atto d’intervento nella cancelleria del g.e. e provvedendo, nei dieci giorni successivi al deposito, a pena d’inammissibilità, a notificare al debitore copia del ricorso e dell’estratto autentico notarile attestante il credito.
A questa modifica si aggiunge, poi, la previsione, al sesto comma dello stesso articolo, di un sub-procedimento di verificazione dei crediti di coloro che sono sprovvisti di titolo esecutivo, basato sul riconoscimento (o sulla mancata contestazione) che il debitore esecutato effettua in un’apposita udienza di comparizione delle parti, fissata dal g.e. con l’ordinanza che dispone la vendita o l’assegnazione, il tutto al fine di far conseguire a tali soggetti la plena legitimatio ad concursum.
L’ammissione al concorso di questi creditori non titolati stravolge la coerenza del sistema processuale delineato dal legislatore qualche mese addietro, sistema in cui, una volta posta la regola del necessario possesso del titolo esecutivo ai fini dell’intervento, le uniche eccezioni consentite – creditori pignoratizi, creditori con diritto di prelazione risultante da pubblici registri, creditori sequestranti, creditori in possesso di provvedimenti cautelari aventi ad oggetto somme di denaro e titolari di diritti reali limitati sul bene oggetto del pignoramento- trovavano un loro fondamento in ragioni di diritto sostanziale o di pienezza della tutela processuale.
Sulla nuova figura di creditore legittimato all’intervento, sono stati espressi da più parti dubbi di legittimità costituzionale: in particolare, la ratio sottesa all’art. 3 Cost. risulta disattesa sia che si confronti la sua posizione con quella di altri il cui credito risulti da un documento scritto, sia che la si confronti con quella degli altri creditori non titolati (che continuano ad essere) ammessi all’intervento dal primo comma dell’art. 499 c.p.c. Rispetto a questi ultimi, infatti (per i motivi supra accennati), si registra un trattamento omogeneo per situazioni obiettivamente diverse.
In particolare, l’irragionevolezza dell’intervento legislativo si può cogliere sotto due aspetti: innanzitutto, considerando l’obiettivo della riforma di ridurre gli incidenti cognitivi sollecitati dalla presenza nel
processo di creditori non titolati, di sicuro non giova a molto l’aver ammesso all’intervento soggetti i cui crediti risultano da scritture contabili, né l’aver inserito il meccanismo di cui al sesto comma dell’art. 499 c.p.c. che, in fin dei conti, consente solo di accantonare le problematiche connesse alla verifica anticipata dei crediti che, tra l’altro, sono suscettibili di sorgere anche prima del “riconoscimento”, in occasione dell’assunzione di certi provvedimenti esecutivi che presuppongono una cognizione, per quanto sommaria, di tutti i crediti in concorso. Sotto un altro punto di vista, l’irragionevolezza della disposizione si coglie non appena si provi a verificare la sua intrinseca coerenza nell’ambito dell’intero ordinamento processuale: ad esempio, sul piano probatorio, alle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c. viene riconosciuta in sede esecutiva una valenza che non hanno né in un ordinario processo di cognizione, né in un procedimento d’ingiunzione.
Già da questi pochi rilievi emerge chiaramente come l’ammissione al concorso del “creditor contabile” sia potenzialmente un elemento capace di mettere in crisi l’intero sistema: in dottrina, infatti, tra le varie interpretazioni proposte, sono emerse letture “costituzionalmente orientate” che, per salvaguardare il principio d’uguaglianza, ritengono che si debbano ammettere al concorso tutti i creditori in possesso di una prova documentale o, addirittura, a prescindere da questa.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Par condicio e intervento dei creditori
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Informazioni tesi
Autore: | Camilla Alabiso |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Libera Univ. Internaz. di Studi Soc. G.Carli-(LUISS) di Roma |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Diritto Processuale Civile Progredito (esecuzioni) |
Relatore: | Bruno Capponi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 134 |
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