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The BRICs in the world economic development process [I BRICs nel processo di sviluppo economico mondiale]

I BRICs in una prospettiva ''storica''

Agli albori del XIX secolo fino alle guerre napoleoniche [Tab 1.1] i BRICs nel loro complesso (ma soprattutto la componente asiatica e la Cina in primis) rappresentavano una componente importante dell’economia mondiale, ma solo un secolo più tardi avevano già accumulato un ritardo importante e destinato ad aumentare nel secondo dopoguerra.

Le economie asiatiche persero progressivamente terreno nel corso del processo d’industrializzazione: la popolazione crebbe più velocemente della ricchezza e ciò portò a un utilizzo poco efficiente delle risorse disponibili; il consolidamento del nuovo ordine economico mondiale e l’accentuazione della specializzazione dei nella produzione dei beni primari tra il 1870 e il 1913 fece interrompere sul nascere il processo di industrializzazione. In Russia la “divergenza” avvenne più tardi, in occasione degli sconvolgimenti di inizio del Ventesimo secolo.

In termini di crescita i risultati furono assai deludenti: nel 1978 per tre dei quattro BRICs, la rispettiva quota di PIL mondiale era enormemente più bassa di quella del 1820 ma anche estremamente inferiore a quella del 1952.

L’incidenza del commercio estero di beni (import + export) sul PIL [Tab. 1.2] passò dal 5% del 1870 allo al 2,4% del 1973. Nello stesso lasso di tempo la rilevanza di Europa occidentale e di Giappone più che raddoppiò (dal 10 al 20,9% per l’Europa e dallo 0,2 al 7,9% per il Giappone).

Se negli ultimi 20-30 anni i BRICs sono cresciuti tanto, molto probabilmente è perché hanno abbandonato gli orientamenti di politica economica “inward-looking” – che anziché porre rimedio ai fallimenti del mercato e favorire il processo di industrializzazione dei Paesi, “stavano provocando soprattutto danni e servivano ad arricchire solo determinati gruppi” [Goldstein, 2011, pag. 54] – a favore di politiche di aggiustamento strutturale, finalizzate a una maggiore apertura e liberalizzazione economica, a promuovere le privatizzazioni e a un maggiore rigore fiscale.

Forse è impossibile affermarlo con certezza, ma potremmo azzardare nel dire che il punto di partenza dei cambiamenti potrebbero essere individuati tra la fine degli anni ’70 e la fine degli anni ’80, in concomitanza con la decisione di adottare da parte del Partito comunista cinese l’“economia socialista di mercato” (1978) e il lancio della perestrojka in Russia (1985). Il vero punto di svolta delle riforme però si potrebbe individuare tra il 1990 e il 1992, non a caso in seguito alla fine ufficiale della Guerra fredda: il 15 marzo 1990, il governo Collor lanciò in Brasile la “Política Industrial e de Comércio Exterior”, che iniziò a smantellare il protezionismo, a cui seguì il “Plano Real” nel 1994 del governo Franco, che sradicò il problema dell’iperinflazione nel Paese; Boris Eltsin, il 28 ottobre 1991, rivolgendosi alla Duma, individuò nella libertà economica e nella stabilizzazione finanziaria i cardini della nuova Russia (che sarebbe nata solo due mesi dopo); il governo indiano, nel luglio 1991, con riserve che non arrivavano a coprire tre settimane di importazioni, negoziò un piano di emergenza con l’International Monetary Fund (IMF) e trasferì a Londra e Zurigo 67 tonnellate di oro come garanzia; il 19 gennaio 1992 Dèng Xiǎopíng, leader supremo della Cina del periodo, pioniere della riforma economica cinese e artefice del “Socialismo con caratteristiche cinesi” (Zhōngguó tèsè shèhuìzhǔyì), visitando la “Zona economica speciale” di Shēnzhèn sottolineò la “necessità di accelerare la crescita economica attraverso riforme” [Goldstein, 2011, pag. 56].

L’ultima decade della fine del XX secolo e la prima dell’inizio del XXI sono state caratterizzate dall’ascesa di queste economie, in quanto parte significativa della crescita economica, dell’espansione della domanda, della produzione industriale e della creazione di ricchezza nel mondo nel mondo di oggi. Sicuramente ciascuno dei BRICs ha messo in ordine la propria politica fiscale – deficit pubblici più bassi, debito pubblico sotto controllo, rispetto delle regole di spesa – anche in assenza della disciplina imposta dalle istituzioni finanziarie internazionali e non a caso hanno potuto disporre di considerevoli margini per fronteggiare la crisi del 2008-2009 con misure di stimolo all’economia. L’apparente successo di queste potenze economiche regionali nel raggiungere una crescita economica sostenuta ha fatto sì che questo gruppo di Paesi diventasse un punto di riferimento, sia per i Paesi in via di sviluppo, sia per i Paesi industrializzati nel tentativo di riconquistare il dinamismo economico.

Dietro la sintesi però si nascondono realtà ben più complesse. L’analisi storica complessiva dei BRICs è, come abbiamo già avuto modo di accennare, un aggregato di realtà relative a situazioni proprie di Paesi molto diversi fra loro. Per comprendere meglio quindi quali sono state le dinamiche e gli aspetti salienti che hanno condotto questi Paesi a quella che, secondo la visione O’Neill, sembrava un’ascesa inarrestabile e le loro effettive performance economiche degli ultimi anni è necessario esaminarli uno per uno.

Questo brano è tratto dalla tesi:

The BRICs in the world economic development process [I BRICs nel processo di sviluppo economico mondiale]

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Informazioni tesi

  Autore: Luca ATTOLICO
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2017-18
  Università: Università Politecnica delle Marche
  Facoltà: Economia
  Corso: 64/S
  Relatore: Marco  GALLEGATI
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 207

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