Autostima, autoefficacia, identità di genere e soddisfazione lavorativa: una ricerca sul campo
Gli studi sul benessere lavorativo
L’interesse verso la salute del lavoratore è relativamente recente: agli inizi del XX secolo, a seguito delle modifiche che le rivoluzioni industriali avevano prodotto sull’assetto sociale ed economico, si era definita l’immagine del lavoratore che lavorava in simbiosi con la macchina, che non può esplicitare bisogni diversi da quelli connessi alla tecnologia di cui l’azienda si avvale. Lo scopo dell’azienda era unicamente quello di conseguire il miglior risultato, inteso in termini di costi e benefici economici, non tenendo in considerazione né l’ambiente di lavoro, né lo stato di salute del lavoratore (Smiraglia, 1993; Sarchielli, 2003; Avallone, 2005). Fino agli inizi della seconda guerra mondiale venne registrata una costante attenzione ai fattori che potevano essere causa di infortuni nel posto di lavoro. La teoria di Taylor si occupò inizialmente di un ambito prevalentemente produttivo: il suo metodo prevedeva lo studio accurato dei singoli movimenti del lavoratore per poter ottimizzare il tempo di lavoro. Lo studioso propose, inoltre, di applicare una riorganizzazione anche nella direzione dello stabilimento, con la creazione di un dipartimento programmazione e la creazione di una serie di otto capi funzionali che presidiassero le diverse funzioni aziendali. Taylor (1911) raggiungeva il suo scopo producendo un incremento della produttività legato a tempi inferiori di realizzazione separando il lavoro intellettuale da quello manuale. I lavoratori risultavano però logorati dalla passività della reiterazione lavorativa e più soggetti a distrazioni e infortuni sul lavoro che alla fine andavano a discapito della stessa produttività aziendale (Gabassi, 2007). Nel 1927, De Man afferma in un suo testo (La gioia del lavoro) che la comprensione, da parte del lavoratore, della utilità sociale del proprio lavoro può far crescere la sua soddisfazione. Mayo (anno) ha migliorato gli studi che fece Taylor sulla produzione nel lavoro. Egli eseguì delle ricerche sperimentali sul grado di connessione esistente tra l'illuminazione del luogo di lavoro ed il rendimento dei lavoratori e notò che, modificando le condizioni dell'illuminazione degli ambienti di lavoro, i dipendenti rispondevano in maniera favorevole ed aumentavano la produttività. Così si è iniziato a valutare il comportamento e la diversità che contraddistingue ogni essere umano. Mayo integrò il concetto di "fattore umano" al concetto di "produzione", in perfetta antitesi rispetto la teoria di Taylor che percepiva il lavoratore come un automa inserito in una catena di produzione, senza in alcun modo poter partecipare al processo produttivo con iniziative di tipo personale. Con le nuove teorie di Mayo, invece, il soggetto lavoratore è inteso come persona con proprie capacità ed esigenze, che soddisfa i bisogni sociali nel posto di lavoro, tramite l'inserimento in gruppi in cui si verifica un interscambio di informazioni, un confronto, una crescita professionale. Grazie alle sperimentazioni di Mayo è facile capire come, l'aumento della produzione, non è solo legato all'aspetto retributivo, ma all'insieme delle condizioni del contesto lavorativo. L'azienda dovrebbe dunque comprendere che, prestando maggiore attenzione alle esigenze psicologiche dei lavoratori, ed in particolare all'ambiente microsociale in cui lavora, aumenta anche il rendimento produttivo, raggiungendo più agevolmente gli obiettivi aziendali predeterminati.
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Informazioni tesi
Autore: | Luca Cianci |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Catania |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia |
Relatore: | Giuseppe Santisi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 94 |
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