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Vittime - Soccorso Violenza Sessuale 2000-2004

Giudizio sulla riforma della normativa sulla violenza sessuale del 1996

La riforma del 1996, sebbene sostenuta dall’encomiabile proposito di rinverdire l’originaria disciplina codicistica, in modo da adeguarla all’evoluzione culturale che ha investito il rapporto tra i sessi, si è tuttavia tradotta in una trama normativa affrettata, tecnicamente difettosa in più punti, non sempre congruente con gli obbiettivi di tutela presi di mira e con alcuni princìpi basilari del diritto penale, fortemente sbilanciata in senso general-preventivo. Facendosi portatore di un approccio definibile “simbolico-espressivo”, il legislatore del ’96 ha dunque mostrato la tendenza prioritaria alla valorizzazione delle grandi risorse che lo strumento penale possiede virtualmente sul piano della comunicazione simbolica, dell’orientamento culturale e della pedagogia sociale (emblematico il fatto che il tanto decantato nuovo inquadramento sistematico della disciplina del ’96 in realtà si possa considerare un “bluff giuridico” […] attuato allo scopo, di chiara valenza socio-pedagogica, di segnalare ai consociati come oggi la stessa legge penale concepisca la violenza sessuale, più che come un’offesa ad una presunta morale pubblica, come una vera e propria aggressione alla persona umana), mentre si è premurato in misura minore di tratteggiare un assetto disciplinare realmente conforme ai canoni di una moderna scienza della legislazione penale.
Critiche sono state mosse anche in merito alla collocazione sistematica scelta per la nuova disciplina[…]: sordo ai suggerimenti di inquadramento dei reati a sfondo sessuale fra i delitti contro la libertà morale, il legislatore del ’96 ha colpevolmente rinunciato pure alla soluzione, che appariva naturale ed obbligata, di sistemazione dei reati in esame in una sezione autonoma, da crearsi ad hoc, dedicata alla libertà sessuale. A tale proposito si è giustamente osservato che tale prospettiva sia stata inopinatamente scartata in quanto, verosimilmente, il riferimento alla libertà sessuale è sembrato ormai compromesso dal lungo rapporto funzionale con la moralità pubblica ed il buon costume.
A prescindere da questi rilievi di natura, per così dire, “politico-sociale”, bisogna inevitabilmente evidenziare come l’inserto normativo raggiunga solo parzialmente l’obbiettivo dichiarato di modificare realmente l’oggettività giuridica dei delitti in materia di libertà sessuale, e cioè di ricondurli sotto l’egida dei delitti contro la persona; in particolar modo il perdurare del requisito costitutivo della violenza e della minaccia (mantenuto forse per ispirare una particolare attenzione repressiva, e quindi una maggiore e più effettiva persecuzione nei confronti dei comportamenti delittuosi similmente connotati) continua malauguratamente ad evocare quell’onere di resistenza che, nella previsione pre-riforma di “zanardelliana” memoria, costituiva il tassello concettuale di congiunzione tra la libertà sessuale e la moralità pubblica. La constatazione che, in una tale legge apertamente indirizzata verso la valorizzazione dell’offesa della persona, non sia stata colta l’opportunità di modificare il baricentro dell’incriminazione, incentrandola sul dissenso della persona offesa, non può che suscitare stupore: resta infatti del tutto incomprensibile che un delitto contro la libertà, consistente dell’imposizione di un’attività sessuale, debba postulare l’intervento di mezzi coercitivi qualificati, e non risulti integrato dalla semplice volontà contraria della vittima. La necessità della violenza discende da un’antidiluviana concezione dei rapporti sessuali ancora basata sull’idea di “conquista” della preda sessuale che, se non reagisce attivamente alle iniziative, si dimostra per ciò solo in re ipsa disponibile a cedere all’altrui volontà: la persona esposta all’iniziativa sessuale altrui non può contare sulla tutela del proprio dissenso, dovendo in primo luogo preoccuparsi di risultare “costretta”.
L’enfatizzazione della tutela di un interesse della persona ha stimolato l’unificazione del delitto di violenza carnale e di quello di atti di libidine violenti (con un conseguente innalzamento della pena minima edittale), senza considerare che in quest’ultima fattispecie confluivano condotte che, rispetto alla tutela della persona, assumevano un significato marginale, apprezzabile nella dimensione della semplice molestia: ferma restando l’indistinguibilità di principio degli atti invasivi della sfera sessuale, sarebbe stato logico, al fine di evitare gravi problemi di sproporzione tra la scarsa lesività del fatto e la pena minima da infliggere al reo (al posto di rimettersi alla semplice discrezionalità del giudice nella valutazione dell’attenuante dei casi di minore gravità), scorporare le condotte che, pur assumendo un significato ed una portata sessualmente connotati, si limitassero a determinare mere situazioni di disagio o di turbamento, prevedendo quindi un delitto di molestie sessuali, indicativamente consistente nel fatto di chi, contro la volontà di una persona, compia atti molesti di significato sessuale su di essa o diretti ad essa in sua presenza.
Nonostante i severi appunti critici sopraelencati sollevati dall’inflessibile osservatorio dottrinale – Padovani, nell’esame dell’operato dell’autore della riforma, non ha esitato a descrivere la «curiosa figura» del legislatore pasticcione, «intento più a guastare l’ordinamento giuridico che a rinnovarlo e ad emendarlo» –, dal dettato della legge 15 febbraio 1996, n. 66, emerge, in linea con i più moderni studi criminologici, una particolare attenzione per le vittime, le quali segnano forse per la prima volta in modo così evidente il loro ingresso nell’intervento legislativo di stampo prevalentemente penalistico.

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Vittime - Soccorso Violenza Sessuale 2000-2004

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Informazioni tesi

  Autore: Silvio Paolo Brancaleon
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2003-04
  Università: Università Carlo Cattaneo - LIUC
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Massimo Picozzi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 285

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