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Gli effetti extrapenali del giudicato: un compromesso tra autonomia delle giurisdizioni e unitarietà dell'ordinamento

Giudicato penale, civile e amministrativo: analogie e differenze

Come abbiamo più volte avuto modo di sottolineare, la sentenza, una volta passata in giudicato, assume i caratteri dell’irrevocabilità, dell’incontestabilità e dell’incontrovertibilità. L’attitudine ad acquisire l’autorità di cosa giudicata è precisamente ciò che permette di distinguere la sentenza dagli atti emanati dagli altri poteri dello Stato e in particolare dalla legge e dall’atto amministrativo. Questi ultimi, una volta che si sia perfezionato il procedimento previsto per la loro emanazione, assumono una forza che non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella che connota il giudicato, dal momento che essi possono sempre essere emendati, modificati e addirittura abrogati e revocati per effetto di un atto successivo avente pari forza. Sconosciuta a questi atti è dunque la stabilità che contraddistingue la sentenza dotata dell’auctoritas iudicati, la quale, com’è noto, può essere superata solo all’esito del fruttuoso esperimento dei mezzi straordinari di impugnazione. Il progressivo ampliamento del novero di questi ultimi ha certamente dotato il giudicato di una dose di flessibilità in passato sconosciuta, ma non ha comunque fatto venir meno il carattere della stabilità che da secoli contraddistingue l’istituto de quo.
Quanto detto, tuttavia, non deve indurre a ritenere che il giudicato sia un istituto granitico che presenta caratteri omogenei in tutti i settori dell’ordinamento. Variando questi ultimi, infatti, variano altresì le finalità ordinamentali perseguite dal giudicato stesso e, con esse, le sue caratteristiche. Ciò che resta fermo è solo l’essenza dell’istituto in esame, consistente nell’impossibilità per le parti soccombenti e per ogni giudice di rimettere in discussione quanto statuito nella pronuncia irrevocabile: in altri termini, quale che sia il ramo dell’ordinamento preso in considerazione, «la sentenza, una volta passata in giudicato, non può più essere rimossa o modificata», fatta salva ovviamente la già segnalata possibilità di esperire i mezzi straordinari di impugnazione. Fermo restando ciò, i caratteri peculiari dell’istituto sono condizionati «dalla natura delle situazioni giuridiche su cui la sentenza è destinata a incidere» e dunque, di riflesso, dal settore dell’ordinamento in cui essa vede la luce.
Il giudicato penale, come abbiamo già avuto modo di evidenziare, risponde a un’esigenza di certezza intesa in senso soggettivo, dal momento che consente al singolo di fare stabilmente affidamento su quanto deciso dal giudice nella pronuncia irrevocabile. È proprio da questa esigenza che sorge il più noto effetto del giudicato penale, ossia il divieto di un secondo giudizio su un medesimo fatto nei confronti dell’eadem persona: in assenza di tale divieto, infatti, il singolo che sia già stato giudicato resterebbe cionondimeno continuamente esposto a una possibile riapertura della vicenda processuale che lo ha visto coinvolto, il che lo renderebbe di fatto prigioniero degli arbitri del potere giudiziario.
Il giudicato civile, invece, «si identifica con l’efficacia regolamentare della sentenza». La norma di riferimento è in questo caso rappresentata dall’art. 2909 c.c., a mente del quale «l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa».

Un confronto tra questa disposizione e l’art. 649 c.p.p. appare illuminante. La norma civilistica pone un’evidente enfasi sull’accertamento contenuto nella pronuncia giudiziale, il che consente preliminarmente di escludere dall’ambito del giudicato sostanziale le sentenze processuali, le quali certamente assumono il carattere dell’immutabilità al momento del passaggio in giudicato (formale), ma sono inidonee, proprio perché non contengono alcun accertamento sul merito, ad assumere quel carattere di incontestabilità e vincolatività che è proprio della cosa giudicata sostanziale, potendo esse produrre un effetto vincolante solo ed esclusivamente endoprocessuale.
Ne consegue pertanto che gli effetti che il giudicato civile esplica nell’ambito di futuri processi siano strettamente dipendenti dall’accertamento posto a fondamento della sentenza irrevocabile. Questo accade, perlomeno in parte, anche con riferimento al giudicato penale, posto che – come si è avuto modo di osservare supra – ci pare condivisibile quella tesi che riconduce nell’ambito dello stesso anche l’accertamento del fatto emergente dalla motivazione della pronuncia. Ciò, tuttavia, non deve indurre a sottovalutare o a ritenere frutto del caso la radicalmente diversa formulazione dell’art. 2909 c.c. rispetto a quella dell’art. 649 c.p.p. Quest’ultima disposizione non menziona affatto l’accertamento contenuto nella sentenza irrevocabile, il che, come si è visto in precedenza, ha indotto parte minoritaria della dottrina a sostenere che l’effetto preclusivo del giudicato penale nasca per il solo effetto della venuta a giuridica esistenza della sentenza, indipendentemente dall’accertamento che questa rechi. Una simile opinione, già di per sé discutibile nell’ambito processualpenalistico per le ragioni di cui abbiamo precedentemente dato conto, sarebbe del tutto insostenibile con riferimento al sistema processuale civile, nel quale il divieto di bis in idem viene a configurarsi quale effetto non tanto del giudicato, quanto piuttosto dell’accertamento contenuto nella sentenza irrevocabile. Benché dunque l’accertamento contenuto nella sentenza penale, secondo la tesi che riteniamo preferibile, non sia affatto irrilevante ai fini dell’identificazione dell’oggetto e degli effetti del giudicato, non è revocabile in dubbio che nel sistema processuale civile tale accertamento abbia una centralità infinitamente superiore.
In altri termini, mentre nel processo penale è ictu oculi evidente, anche solo per una questione di topografia normativa, che il ne bis in idem sia un effetto proprio e diretto del giudicato, nel processo civile per giungere a una simile conclusione è necessario un passaggio logico intermedio, dal momento che l’art. 2909 c.c. riferisce l’efficacia preclusiva, così come quella conformativa, non direttamente al giudicato, ma all’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato. È dunque da tale accertamento che discende l’obbligo per i giudici di futuri processi tra le stesse parti e con il medesimo oggetto di rigettare in rito la domanda, così come è tale accertamento che esplica un’efficacia conformativa nei futuri processi tra le stesse parti le quali controvertano intorno a un diritto diverso da quello già deciso ma a esso connesso in forza di un rapporto di pregiudizialitàdipendenza.

La differente formulazione delle due norme di riferimento – giova ribadirlo – non è affatto frutto del caso o di un capriccio del legislatore, ma è uno dei più evidenti sintomi della diversa funzione che i due rami dell’ordinamento esplicano, la quale a propria volta è una diretta conseguenza del diverso rango dei beni e delle situazioni giuridiche che vengono in gioco nel processo civile e in quello penale. Nel primo, infatti, si controverte intorno a un bene della vita avente spesso natura patrimoniale: scopo precipuo del processo civile è pertanto quello di assicurare alle situazioni giuridiche soggettive la tutela giurisdizionale che lo Stato deve garantire per salvaguardare l’effettività delle norme sostanziali che quelle stesse situazioni riconoscono e regolano. Scopo del processo penale, invece, è quello di verificare se l’ipotesi di reato ritenuta dal pubblico ministero nell’imputazione sia fondata oltre ogni ragionevole dubbio, perché solo al di là di questa elevata soglia ricorrono i presupposti per ritenere vinta la presunzione costituzionale di non colpevolezza e, conseguentemente, per pronunciare una decisione di condanna. In altri termini, mentre nel processo civile «si controverte intorno a un bene della vita, secondo l’espressione chiovendiana, che entra a far parte del commercio giuridico, [nel processo penale si controverte] intorno al valore di un uomo, che è il vero protagonista del dramma penale» e il bene giuridico che viene in gioco è il più prezioso per l’uomo stesso, ossia la libertà personale.
Questa diversità di oggetto e di funzione dei processi civili e penali permette di spiegare la differente conformazione che il giudicato e le norme a esso relative assumono nei due settori dell’ordinamento. Nel sistema processuale civile, infatti, l’incontrovertibilità che connota il giudicato è funzionale a evitare che le liti si protraggano all’infinito, il che ostacolerebbe notevolmente la certezza, la sicurezza e la speditezza dei traffici giuridici: la certezza soggettiva che deriva in capo al singolo come conseguenza della formazione del giudicato costituisce dunque, in ambito civile, un mero effetto indiretto dell’esigenza di assicurare la stabilità del commercio giuridico. Nel sistema processuale penale, invece, l’esigenza primaria è proprio quella di tutelare la libertà del singolo, mettendolo al riparo da una indefinita reiterazione di pretese punitive in relazione all’idem factum e consentendogli di fare stabilmente affidamento sul dictum della pronuncia immutabile. In questo settore, dunque, la stabilità dei rapporti giuridici «non può avere che scarsa incidenza», dovendo essere sacrificata in nome di preminenti esigenze di giustizia sostanziale che impongano di superare la stabilità della decisione per assicurarne la migliore corrispondenza alla realtà oggettiva e fenomenica.
Con riferimento ai rapporti tra giudicato penale e giudicato amministrativo, pare preliminarmente necessario ricordare che anche «le pronunce del Giudice amministrativo, in quanto vere e proprie sentenze, hanno attitudine a passare in giudicato»: si tratta di un’ulteriore conferma del fatto che l’idoneità ad assumere l’auctoritas iudicati costituisca una caratteristica precipua e distintiva dei provvedimenti giurisdizionali. Come accade negli altri rami dell’ordinamento, anche nell’ambito del processo amministrativo «si definisce passata in giudicato la sentenza avverso la quale non sono più ammessi mezzi [di] impugnazione».
Si ricorda che nel nostro ordinamento vige un tendenziale principio di unicità della giurisdizione, che, però, subisce due eccezioni direttamente previste dalla Carta costituzionale: la prima si fonda sull’art. 102, c. 2, Cost., il quale, dopo aver vietato l’istituzione di giudici straordinari o speciali, stabilisce che «possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura»; la seconda eccezione, che è quella che in questa sede maggiormente rileva, discende invece dall’art. 103, c. 1, Cost., a mente del quale «il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi». Tale disposizione costituzionale fornisce la regola generale in base alla quale operare il riparto di giurisdizione: quest’ultimo si fonda, almeno in linea di massima, sulla posizione giuridica soggettiva di cui si chiede tutela. Apertis verbis, spetta al giudice ordinario la tutela dei diritti soggettivi, mentre è devoluta al giudice amministrativo la tutela degli interessi legittimi.
[...]

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Gli effetti extrapenali del giudicato: un compromesso tra autonomia delle giurisdizioni e unitarietà dell'ordinamento

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Informazioni tesi

  Autore: Luigi Anghileri
  Tipo: Laurea magistrale a ciclo unico
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Maria Novella Galantini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 418

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Parole chiave

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processo penale
misure di prevenzione
processo tributario
effetti extrapenali
giudizi risarcitori
unità della giurisdizione
autonomia delle giurisdizioni

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