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La Signora Contessa Grippa di San Celso e Madame Bovary a confronto

Giacinta e l'amicizia indissolubile tra Verga e Capuana

L’amicizia umana, letteraria ed epistolare che intercorse tra Luigi Capuana e Giovanni Verga fu il terreno fertile sul quale fiorirono parecchie opere letterarie che andarono a costituire la corrente letteraria italiana verista. D’altra parte non poteva che essere vera dovendo scrivere per il Verismo, termine utilizzato per primo da Pietro Cossa. I due amici rigettarono signorilmente tutte le proposte giornalistiche di sfida e concorrenza. Come fu questa ad esempio:
“Il Verga è sopra tutto un osservatore, il Capuana invece è un analizzatore, uno psicologo profondo. Però il Capuana, di tanto superiore al Verga come psicologo, non ha il profondo senso della natura che ha lui. Nello stile, mentre il Verga è sciatto e sgrammaticato, il Capuana invece ha una luminosità ed una flaubertiana armonia del periodo”. Così scrisse Vittorio Pica recensendo “Ribrezzo” su “ La domenica del Fracassa”,a Roma il 12 Luglio del 1885.
Flaubert verrà subito citato dagli amici dopo la prima lettura del romanzo “Giacinta” …Così scrive un suo amico siciliano, Emanuele Navarro: ”Vi diranno probabilmente che Giacinta somiglia un poco alla Dora di Sardou e un poco all’Emma Bovary di Flaubert; vi diranno che Andrea è figlio di Monsieur Alphonse e che il cavaliere Mochi è fratello di vari confidenti da commedia; ebbene ! E poi? Dov’è l’uomo che possa oggidì inventare un tipo o un intreccio totalmente nuovi? Ogni cosa era già vecchia, sin dai tempi di Salomone. Comprendo bene che la guerra fatta al vostro libro ha dovuto annoiarvi; ma francamente c’era da aspettarsela. Del resto, vedo con piacere che avete degli ammiratori entusiasti. Il signor Cameroni ebbe la bontà di mandarmi un suo articolo nel quale vi porta alle stelle.”
Il carteggio Verga Capuana diventato per alcuni critici “il mito” contiene tra le tante affettuosità anche alcuni “ti amo” che i due scrittori si scambiano sognando un mezzobusto al Pincio, lusingati vicendevolmente d’aversi come amici e compagni di vita, di fortune e sventure letterarie.
Fu Luigi a dare in prestito Madame Bovary al Verga, che in una lettera gli confessò di averlo trovato di un realismo scritto da scettico.
Non c’è che il realismo dei sensi, gli scrive, le passioni di quei personaggi durano la durata di una sensazione. E così non ci si affeziona ai personaggi del dramma. Justin, il ragazzo della farmacia è l’unico personaggio per cui valga la pena leggerlo.

“Non ricordo, gentile amica, la data precisa, ma fu certamente in una dolce serata di ottobre nel 1875, lungo il viale del Pincio, che l’irresistibile tentazione mi si presentò tutt’a un tratto alla mente. E ogni volta che torno a passeggiare per quel viale mi par di sentire ancora la voce grave della venerata persona, che credendo di raccontarmi semplicemente un aneddoto mondano, mi metteva addosso, invece, uno di quegli invasamenti contro cui non valgono esorcismi di sorta alcuna. E rivedo quella maschia figura olivastra, dai baffi e dal pizzo grigi (sulla quale nulla non avevano potuto i patimenti del carcere borbonico al tempo del Poerio e del Settembrini) che s’animava nel racconto, piena di compassione e di simpatia, indulgente verso le aberrazioni di uno strano carattere femminile, quasi legittimate dalla passione e dalle non ordinarie circostanze.
Così mi apparve all’immaginazione la prima volta Giacinta, seducente visione, attraverso la calda parola d’un senatore del regno; e credetti di vederla viva e parlante, quando egli m’additò una bella ed elegante signora che ci passava davanti, rassomigliantissima, diceva, a colei ch’era diventata subitamente cosa mia, com’io mi sentivo diventato in pochi minuti sua preda. Da quel momento non fantasticai, non sognai altro che la mia futura eroina. E tornai, dopo alcuni giorni, a interrogare, a carpire dalla facile memoria del mio ispiratore ogni minuto particolare a lui noto, ogni linea, ogni schizzo di figure secondarie, ogni motto anche; perché voi lo sapete benissimo, ci sono dei motti che non s’inventano, ma scaturiscono soltanto dall’urto con la realtà, come qualcosa che palpiti e che sanguini, rivelazione tutta individuale d’un personaggio, parte dell’anima sua , spesso tutto lui.
Quanto durò questo lavoro di fantasticheria, di ripensamento, d’organizzazione interiore, per cui avvenne che il personaggio reale giunse ad elevarsi alla dignità di personaggio dell’arte? Più di due anni, Amica mia. E frattanto quello che mi era parso un caso eccezionale incontrava, per una sequela di fortunate circostanze, nella vita attorno a me, altri casi consimili, qualcuno più strano ancora. Altri particolari venivano ad adattarsi in tal modo a quelli a me noti, rivelandomi il segreto di certe azioni, facendomi penetrar meglio nell’intimità di quella creatura che cominciava a vivere dentro di me, e della quale più non mi curavo di discernere fin dove la primitiva figura si fosse venuta alterando nel continuo lavoro di elaborazione latente.”

Questo brano è tratto dalla tesi:

La Signora Contessa Grippa di San Celso e Madame Bovary a confronto

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Informazioni tesi

  Autore: Laura Virginia De Domenico
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Lettere
  Corso: Letteratura, Musica e Spettacolo
  Relatore: Beatrice Alfonzetti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 72

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