Che cosa posso sperare? La forma della fede nella filosofia kantiana
Genealogia della felicità nel pensiero kantiano
Prima di conoscere la soluzione kantiana all’antinomia suddetta è necessario un excursus filosofico sul concetto di felicità e sulla sua evoluzione teoretica.
La posizione kantiana riguardo al rapporto tra virtù e felicità, come è emerso già nella precedente analisi delle lezioni di filosofia della religione edite dal Pölitz, affonda le radici in una lunga fase di meditazione che dalle Reflexionen degli anni 70 giunge alle opere degli anni 90, con una serie di ripensamenti e variazioni. Ciò che resta però immutata è l’idea che la felicità sia un’aspirazione universale e che consista nel soddisfare in modo duraturo e completo le inclinazioni.
La dipendenza dell’uomo dalla natura e il suo essere determinato da bisogni naturali fa sì che si debba valutare in che modo la soddisfazione di tutti i fini – la felicità – possa conciliare la naturalità dell’uomo da un lato e la sua razionalità pratica dall’altro. In altri termini, in che rapporto stanno tra le loro le inclinazioni? Se infatti esse non sono identiche, ma ve ne saranno alcune che potrebbero ostacolare il raggiungimento della felicità, allora non dovranno essere accolte con neutralità, bensì sarà compito morale del soggetto dirimere tra “buone inclinazioni” e “cattive inclinazioni”. Tre principali alternative sono qui in gioco:
1. Non v’è alcuna collisione tra le inclinazioni e la loro armonia è “prestabilita”.
2. Il conflitto tra le diverse inclinazioni è ineludibile e in tal modo diviene improbabile che si dia una soddisfazione completa poiché un’inclinazione escluderebbe l’altra.
3. La soddisfazione di tutti i fini e delle inclinazioni è possibile laddove alcune di queste siano ridimensionate o addirittura annullate nella loro pretesa. Un sistema armonico è raggiungibile attraverso lo sforzo morale del soggetto che ordina secondo un criterio razionale le inclinazioni.
Kant sostenne l’ultima posizione tra gli anni 70 e l’inizio degli anni 80.
Sebbene la materia della felicità sia sensibile – appartenga alla natura e alle sue leggi – la forma di essa è in nostro potere, ed è una forma intellettuale che da unità al coacervo magmatico delle inclinazioni.
Esiste dunque una vera e propria regola della felicità che, in quanto ordinatrice del groviglio delle inclinazioni, ci rende passibili di felicità personale e che inoltre unifica la totalità dei fini del genere umano nel concetto di felicità universale. Scrive Kant nella Reflexion 7202: “L’elemento intellettuale della felicità è la sua “essenza”, la sua “condizione formale essenziale” […] sebbene anche altre condizioni materiali siano necessarie (come per l’esperienza)”.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Che cosa posso sperare? La forma della fede nella filosofia kantiana
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Informazioni tesi
Autore: | Fabio Elemento |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia teoretica, morale, politica ed estetica |
Relatore: | Marco Ivaldo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 223 |
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