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L'autoritratto nella pittura italiana contemporanea

Frantumazione dell'io

La ricerca della propria identità è uno dei temi fondamentali del 900. Queste riflessioni portano alla scoperta che se stessi è anche altro da sé, e quindi alla perdita di identità, alla frantumazione dell'io, definita in particolar modo da Baudelaire "l'artista non é artista che a condizione di essere doppio, e di non ignorare nessun aspetto della sua doppia natura", da Rimbaud "L'io é un altro", e da Freud che riconosce la stratificazione dell'uomo nella sua personalità profonda. Questa frattura segna la fine dell'idea dell'uomo sorta dal cristianesimo e durata per tutto l'umanesimo seppur con importanti mutamenti, è una disgregazione che provoca disordini e conflitti, l'autoritratto sembra porsi contro se stesso, ma é anche indice di un'apertura e di un superamento della condizione di chiusura ponendosi verso se stessi in atteggiamento di ascolto.

La perdita d'identità segna un altro passaggio: la ricerca continua dell'identità, che emerge anche nei ritratti. Michelangelo diceva che "ogni pittore ritrae sé medesimo bene", ed è perciò impossibile fare una rappresentazione oggettiva di
un ritratto poiché una parte dell'artista viene fuori. Ciò sembra essere confermato dall'intera opera di Amedeo Modigliani, fatta per lo più da ritratti, che in realtà rinviano proprio al pittore. Del 1919 è il Ritratto di Jeanne Hébuterne in cui si distinguono le linee essenziali e sinuose, le forme piatte, il volto ovale e allungato sopra il collo che ricorda uno stelo, e dello stesso anno è il suo Autoritratto, percorso anch'esso da un'elegante geometria, in cui ritroviamo quegli occhi pieni col fondo di colore nero, privi di iride e quindi privi di sguardo. I ritratti di Modigliani sono immagini fisse, volti con le labbra chiuse, gli occhi cancellati, rielaborazioni geometriche in cui anche il colore della pelle si smaterializza ricomponendosi nella direzione della pietra, figure senza sfondo, corpi senza peso, tutti trasudano la presenza del pittore, la sua personalità impregna di sé tutte le figure che dipinge: ogni ritratto in realtà è un autoritratto. Il tema del doppio e dell'artista che si sdoppia, si guarda dall'esterno come se fosse un altro, ricerca la propria identità e scopre di essere irrimediabilmente un altro sono argomenti che si percepiscono nelle opere di De Chirico, già nell'Autoritratto del 1920, in quello del 1924 e nell'Autoritratto con il busto di Euripide le allusioni alla statuaria classica ribadiscono l'impossibilità di dare un'identità univoca e definitiva all'uomo.
Ciò rimanda all'origine mitica di ogni autoritratto: la figura di Narciso che, guardando la propria immagine riflessa sulla superficie dell'acqua, non la riconosce, guarda se stesso come se fosse un altro, proprio come ogni artista fa nel momento in cui si pone di fronte alla propria immagine. Il fatto che non ci possa essere una visione diretta di sé ha stimolato l'immaginazione degli artisti: lo sdoppiamento che Cesare Sofianopulo fa fare alla sua figura nell'Autoritratto dualistico o pirandelliano del 1936 risponde all'esigenza di svelare almeno due aspetti della sua personalità, richiamati dai due libri sotto il braccio dell'artista (Baudelaire e Varlaine), per dimostrare di essere un autentico artista e ribadisce il fatto che l'uomo é la sintesi di tutti i sentimenti e di tutte le sfaccettature di un determinato carattere.
La visione negata, il "principio di estraneità nei confronti della propria immagine", porta nel Novecento ad una perdita di verosimiglianza del volto ed ad un nuovo modo di rappresentazione di sé tramite la frammentazione del corpo e la sostituzione del volto con singole parti anatomiche.
Quest'ultima si avvale della figura retorica della metonimia, che implica l'uso della parte per il tutto, il che significa che l'artista invece di rappresentare il suo volto o la sua figura per intero, utilizza una singola parte di sé che rappresenta l'insieme del suo corpo. Anche questi frammenti umani possono attraversare la fase di pietrificazione e di medusazione. E' ancora De Chirico, nel dipinto del 1914 Composizione metafisica (autoritratto), che testimonia questo processo inserendo dei calchi in gesso dei suoi piedi: l'autore scompare e degli oggetti di impronta fortemente culturale fanno le sue veci. Quasi sessant'anni dopo, Giulio Paolini pietrifica la propria mano nella serie Proteo del 1971, a riprova di un filo rosso che collega una ricerca ininterrotta.
Narciso si guarda allo specchio ma lo specchio è infranto, moltiplica immagini ingannevoli, ora ironiche ora paurose.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'autoritratto nella pittura italiana contemporanea

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Informazioni tesi

  Autore: Federica Tosato
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Padova
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Annamaria Sandonà
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 51

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