Finanza islamica: le peculiarità dei fondi islamici; il caso BNP Asset Management.
Finanza islamica e la crisi
Benché sia un fenomeno piuttosto recente, il successo della finanza islamica è stato rilevante e gli asset totali hanno ormai raggiunto un valore di 950 miliardi di dollari (1% del totale delle attività finanziarie mondiali). La clientela è rappresentata soprattutto dai fedeli al’Islam, ma comprende anche tutti coloro che vedono nei prodotti finanziari islamici un canale per diversificare i propri impieghi in attività finanziarie alternativi a quella convenzionali. Tra le cause del successo troviamo il desiderio da parte dei musulmani di essere coerenti ai dettami della propria religione anche sotto il profilo finanziario, l’interesse degli operatori occidentali a produrre strumenti finanziari da collocare soprattutto presso investitori istituzionali dei Paesi islamici e infine la perdita di fiducia che ha accompagnato la finanza tradizionale negli ultimi anni, accompagnata dalla campagna mediatica che continuano a intraprendere i sostenitori della finanza islamica, puntando sulla sua natura particolarmente etica.
Uno dei punti di forza della finanza islamica è la sua particolare solidità finanziaria. Essa è ancorata all’economia reale e presenta restrizioni precise sulla scelta dei titoli in portafoglio: le banche islamiche non hanno trattato i prodotti tossici che hanno affondato molte banche tradizionali e sono state una delle cause della crisi scoppiata nell’estate 2007110; mentre le aziende di credito e le istituzioni finanziarie occidentali attraversavano una fase di pesante ristrutturazione, le banche islamiche crescevano con tassi di sviluppo a doppia cifra, tanto da vedere nei metodi finanziari islamici un rimedio per la crisi dell’occidente. Si è pensato che la finanza islamica potesse contribuire alla rifondazione della finanza occidentale che, superati i primi problemi di liquidità, si era trasformata in una crisi di fiducia verso il sistema economico nel suo complesso.
Vista la natura delle loro passività (patrimonio netto, conti correnti e conti d’investimento) e il principio della condivisione di rischi e perdite, le banche islamiche dovrebbero essere immuni dagli shock esterni che colpiscono le banche tradizionali. In ogni caso uno studio del Fondi Monetario Internazionale ha posto in evidenza che le verifiche empiriche dimostrano che la finanza islamica non è necessariamente più o meno rischiosa di quella convenzionale. Lo studio sottolinea che la struttura della condivisione degli utili e delle perdite sposta parte del rischio di credito dalle banche ai depositanti, ma allo stesso tempo aumenta la vulnerabilità delle banche islamiche ai rischi tipici degli investimenti azionari (una bassa performance, ad esempio).
Boumediene e Caby hanno analizzato la stabilità delle banche islamiche durante la crisi dei mutui subprime iniziata nel luglio 2007, analizzando un campione di quattordici banche islamiche e quattordici banche convenzionali. Come misura della stabilità hanno usato la minore o maggiore volatilità nei rendimenti. I risultati di questo studio hanno dimostrato che i rendimenti delle banche convenzionali del campione sono stati altamente volatili durante la crisi. Le banche islamiche hanno visto aumentare la volatilità dei loro rendimenti (all’inizio bassa) durante la crisi, tenendosi comunque a un livello moderato se confrontate con le banche occidentali. Questi risultati rafforzano la convinzione della diversità dei rischi a cui sottoposte i due tipi di banche e che la banca islamica è stata meno volatile ma, a causa del legame con l’economia reale nel suo complesso, ha comunque sofferto le conseguenze della crisi subprime. Nonostante abbia resistito meglio di molte istituzioni convenzionali, la finanza islamica non è stata dunque immune alla crisi economica globale.
Già a inizio 2009 erano sorte preoccupazioni per il coinvolgimento di non poche banche islamiche nel finanziamento del comparto immobiliare, che ha avuto problemi al pari del private equity e del finanziamento del commercio internazionale delle materie prime, in primis del petrolio. Anche la gestione della liquidità di queste banche iniziò a preoccupare, dato che le istituzioni finanziarie islamiche sono collegate col mercato interbancario e monetario internazionale; si riteneva che i due problemi fossero destinati a essere seri banchi di prova per il comparto. Il rischio è esploso nel novembre 2009 con la crisi di Dubai World, fondo sovrano che controlla colossi del comparto immobiliare, della logistica, della finanza e dell'energia nell’emirato arabo; Dubai World, zavorrata da 59 miliardi di dollari di passività (il 70% dell'intero debito statale), ha chiesto ai creditori una moratoria di sei mesi sul debito e ha cercato di rinegoziare le sue posizioni, compreso un bond islamico da 3,5 miliardi di dollari della controllata Nakheel Properties, in scadenza il 14 dicembre 2009 (la situazione verrà poi cambiata nel dicembre 2009 grazie a un prestito di 4 miliardi da parte dell’emirato vicino Abu Dhabi).
Come conseguenza Standard & Poor's è intervenuta, sottolineando che una simile ristrutturazione equivale, nei fatti, a un default. Dopo mesi di trattative, nel maggio 2010 Dubai World ha siglato un accordo per la rinegoziazione del suo debito da 23,5 miliardi di dollari. In particolare, secondo quanto riporta Bloomberg, la holding pubblica dell'Emirato Arabo ha chiuso un'intesa da 14,4 miliardi di dollari con le banche creditrici, che detenevano circa il 60% del debito complessivo di Dubai World, mentre la restante parte era in capo al governo locale. La finanziaria ripagherà quindi 4,4 miliardi di dollari in 5 anni ed i restanti 10 miliardi in otto anni. Il caso del sukuk Nakheel ha posto in evidenza la fragilità dei bond islamici, le cui regole non hanno mai preso in seria considerazione l’ipotesi di insolvenza e il relativo trattamento da riservare agli investitori. Sono emerse l’equivocità della legge, le difficoltà della magistratura nell’applicarla, le non chiare garanzie per creditori / investitori, i legami non trasparenti tra potere giudiziario, legge civile e commerciale e potere reale dei gruppi che governano il Paese. Il crash della Dubai World ha dimostrato che la finanza islamica è stata soggetta all’indebitamento, alla bolla immobiliare e alla mancanza di trasparenza proprio come la finanza convenzionale. Tuttavia, a differenza di quest’ultima, grazie alle peculiarità d’investimento Shari’ah compliant, la volatilità delle performance durante la crisi è stata minore per i settori finanziari islamici rispetto a quelli tradizionali, con picchi al rialzo e al ribasso minori, registrando una maggiore stabilità.
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Finanza islamica: le peculiarità dei fondi islamici; il caso BNP Asset Management.
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Informazioni tesi
Autore: | Elena Bianchi |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Verona |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia aziendale |
Relatore: | Flavio Pichler |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 158 |
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