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Forme del masochismo dal melodramma all'action film

Feticismo e disconoscimento. Dinamiche dello sguardo nell’estetica masochista

Secondo l’interpretazione sadica del piacere visivo descritta da Mulvey, la donna nel cinema portava il peso del desiderio maschile (nato con il linguaggio), cristallizzando nella sua immagine nascita del desiderio e complesso di castrazione. Lo spettatore allora, eludeva l’ansia provocatagli dalla figura femminile attraverso il voyeurismo sadico o la scopofilia feticistica, intesa come completo disconoscimento della castrazione, che trasforma la donna stessa in feticcio, significante del fallo assente.

Una interpretazione del genere però, secondo Studlar, non tiene conto delle ambivalenze e dei desideri pre-edipici, che pure giocano un ruolo nella genesi della scopofilia come del feticismo. Il modello di Mulvey, e così quello di Metz, associavano al sadismo la “separazione voyeuristica del soggetto dall’oggetto dello schermo”. Fondato sul principio della distanza, il voyeurismo sembrava sempre in qualche misura sadico, ed in questi termini veniva comparato al voyeurismo cinematografico (“scopofilia non autorizzata”), e al suo prototipo, il bambino di fronte alla scena primaria.

Tuttavia già Laplanche, in Vita e morte nella psicoanalisi, aveva associato lo sguardo primario al masochismo, la cui fantasia accosta il turbamento della scena primaria all’eccitazione simpatetica propria della posizione passiva di colui che guarda. Non si trattava allora di semplice passività del bambino (/spettatore) in relazione all’attività dell’adulto, ma della passività propria della fantasia (dell’adulto) che si introduce nel bambino.

Essendo legato alla sessualità pregenitale, il masochismo non punta alla gratificazione immediata del desiderio. Al contrario del sadico, il cui piacere di soggiogare si realizza attraverso azione e gratificazione immediata, il masochista è fissato alla fase orale, in cui “l’orgasmo non è l’obiettivo”. Anziché colmare la distanza con l’oggetto, egli se ne garantisce la necessaria separazione, assaporando suspense e distanza, per procrastinare il suo piacere ambivalente ed evitare il ricongiungimento simbiotico con la madre che significherebbe la morte.

Sulla base di questi elementi possiamo tornare a riflettere sulle implicazioni psicoanalitiche del voyeurismo cinematografico, sostituendo il masochismo al sadismo. Scrive Studlar: “il piacere spettatoriale è limitato, come quello infantile ed extragenitale che caratterizza il masochismo. Come il masochista ma diversamente dal sadico, per rimanere all’interno dei confini del pubblico normale e non diventare […] ‘un vero voyeur’, lo spettatore deve evitare la relazione orgasmica che effettivamente distruggerebbe i confini del disconoscimento e interromperebbe il pensiero magico che definisce l’uso orale, infantile e narcisistico che lui/lei fa dell’oggetto cinematografico”. L’onnipotenza narcisistica e infantile del masochista è l’onnipotenza narcisistica dello spettatore, entrambe non possono controllare il partner attivo: “immobile, avvolto nel buio, lo spettatore diventa l’oggetto recettore passivo che è anche soggetto”, egli deve comprendere le immagini ma non può controllarle, e non può avanzare rivendicazioni in questo senso.

Ora, se il masochismo non può essere ricondotto all’angoscia di castrazione, il suo accostamento alla condizione spettatoriale comporterà la necessità di riconsiderare origine e significato di feticismo e disconoscimento come dinamiche del piacere visivo che non sempre riflettono il trauma della differenza sessuale.

Come elementi propri del masochismo, feticismo e disconoscimento si rivelano operativi ben prima dello stadio fallico, giacchè la loro funzione risulta legata alla fase orale, dove esprimono il bisogno “prolungato dell’identificazione con la madre”. Nel masochismo opera un feticismo che è frutto del disconoscimento della perdita materna, una “manovra difensiva” atta a ripristinare il corpo della madre, permettendo così la soddisfazione del bambino e l’identificazione primaria. In contrasto con quanto aveva teorizzato Freud nel suo saggio, gli studi psicoanalitici sul periodo pregenitale ritengono che il feticcio (come lo abbiamo appena descritto) derivi dalla conservazione di quegli oggetti di transizione con cui di norma bambino allevia il dolore per la separazione dalla madre, conservazione che sfocia in feticizzazione quando l’adattamento a tale separazione non riesce.

In quest’ottica allora, feticismo e disconoscimento non risultano neppure dinamiche unicamente maschili, ma proprie di entrambi i sessi, che così sperimentano un piacere visivo non solo attivo.
Lo schermo cinematografico può essere allora considerato il luogo della riproduzione del primo feticcio (la madre come ambiente nutritivo), attraverso il quale lo spettatore ritrova il senso di totalità della prima relazione simbiotica, annullando l’ansia dell’Io liberato dai confini del corpo. Come già scriveva Freud in Psicologia delle masse e dell’Io, “ogni differenziazione psichica rappresenta un nuovo onere per la funzione psichica”, accrescendone la labilità e divenendo perciò il “punto di partenza per un cedimento della funzione, di una malattia. È così che con la nascita abbiamo compiuto il passo dal narcisismo completamente autosufficiente alla percezione di un mondo esterno e agli inizi del rinvenimento dell’oggetto, e da ciò dipende il fatto che non sopportiamo durevolmente il nuovo stato, che periodicamente lo facciamo recedere e torniamo, durante il sonno, al precedente stato di assenza di stimoli e di elusione dell’oggetto”.

Durante il sonno, come al cinema, è possibile per il soggetto riaccedere a modelli percettivi precedenti, e a “ricordi” dimenticati delle prime esperienze infantili. Nel sogno, come nella nevrosi, vengono a galla contenuti rimossi, e “se siamo sani e desti, ricorriamo ad accorgimenti particolari per accogliere di tanto in tanto il rimosso nell’Io, aggirando le resistenze [del Super-io] e traendone piacere. Il motto di spirito e l’umorismo possono essere considerati in questa luce”.
Ma questa differenziazione tra Io e Super-io, dice Freud, non sarebbe tollerabile a lungo termine. Di qui la regola sociale delle feste e dei riti liberatori (e per noi dell’esperienza cinematografica), che consentendo la trasgressione di divieti, zittiscono il Super-io e permettono temporaneamente all’Io di essere di nuovo soddisfatto di sé.

“Lo schermo del sogno [dream screen] con la prima allucinazione della gratificazione è una nozione essenziale per considerare il piacere cinematografico. Attraverso l’immaginazione il bambino ricrea [temporaneamente] la madre e il seno”, ricrea cioè il primo feticcio, e la pienezza originaria. Tuttavia, poichè, “come il seno immaginario non può offrire un nutrimento reale […] l’apparato cinematografico non può procurare intimità o fusione con gli oggetti reali, lo spettatore dovrà operare un disconoscimento dell’assenza di tali oggetti”.
Allora, se l’esperienza spettatoriale offre una gratificazione parziale del desiderio simbiotico, nell’estetica masochista e nel cinema “l’equivoco spettatoriale del controllo sulle immagini è meno un equivoco, che un disconoscimento della perdita dell’autonomia dell’ego sulla formazione delle immagini”.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Forme del masochismo dal melodramma all'action film

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Informazioni tesi

  Autore: Antonietta Buonauro
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale
  Relatore: Veronica Pravadelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 192

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