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Melius (vag)abundare. Il caso di CinemadaMare tra piattaforme di distribuzione digitali e tensione all'itinerarietà

Festival cinematografici

I festival di cinema hanno un valore economico molto alto all'interno di una cultura sempre competitiva e dominata da scarsità di risorse. I festival non producono perdite ma utili e coinvolgono una filiera abbastanza complessa in una linea di servizi, compreso l'indotto turistico. Inoltre, un festival mette in gioco in pochissimo tempo una varietà di pubblici di riferimento e articola una distribuzione di servizi.
Secondo una ricerca dell'Università IULM di Milano, pubblicata da Johan & Levi, per ogni euro investito viene restituito un valore di circa 2,6 euro, valore che si ripete nei vari contesti territoriali.
Su 60 festival controllati, la ricerca si è soffermata su undici festival con un lavoro durato un anno riguardante le manifestazioni di Roma, Taormina, Ischia, Courmayeur, Lecce, Udine, Bologna, Trieste, Montone e Pesaro.
Come sostiene il preside della IULM Gianni Canova durante il Torino Film Festival 2012:

"Non ha più senso continuare a pensare agli investimenti alla cultura come un vuoto a perdere, perché è importante per la crescita del nostro Paese".

Riguardo la fidelizzazione l'analisi ha individuato quattro tipi di spettatori: occasionali, neofiti partecipanti, habitué e cine-mad. Il pubblico è di qualità: è giovane, colto, competente e fedele. L'attrazione non riguarda singole specificità, come film o incontro con autori, ma il festival nella sua globalità. Un valore importante che si ritrova nei festival è la densità di scambi e relazioni che vengono generate, producendo effetti anche molto in là nel tempo e in contesti diversi dal territorio di partenza, compresa la spinta alla cooperazione tra operatori e pubblica amministrazione.
Nonostante questi punti positivi, la stessa ricerca dell'Università IULM rende evidente anche lacune profonde quali la mancanza di informazioni di base, bilanci approssimativi, scarse verifiche sui pubblici di riferimento.

Konstantin Stanislavskij sosteneva:

"Non ci sono piccole parti, solo piccoli attori".

Si può affermare lo stesso dei festival di cinema, non ci sono piccoli festival ma festival piccoli. Ci sono festival dove ci devi andare per forza, ma dove sei un numero nel catalogo, stai chiuso nella tua stanza d'albergo per tutto il periodo aspettando la tua proiezione o le interviste dei giornalisti. Ci sono i festival in cui è il distributore internazionale a dirti di andare, e tu ci vai perché nulla resti di intentato, e da cui non vedi l'ora di andar via. Oppure quelli dove abbondano i red carpet, ma capisci che il film è l'ultima cosa che interessi. Quelli in cui capisci che il budget del festival è più importante delle storie raccontate.
Poi ci sono i festival "divertenti", quelli dove ci vai perché il clima è quello di un grande cineclub, dove la gente va per vedere film e discuterli. Quelli sono i festival dove la convivialità, semplice e sincera, è parte essenziale del programma; è lì che guardi in faccia quella folla indistinta che è definita "spettatori".
Nei festival si va per far vedere i tuoi film, e per confrontarli con gli altri, conosci registi e attori italiani che non hai mai visto a Roma, consolidi amicizie che erano superficiali, stringi legami forti con quegli organizzatori che ti conoscono prima di quanto tu conosca loro.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Melius (vag)abundare. Il caso di CinemadaMare tra piattaforme di distribuzione digitali e tensione all'itinerarietà

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Informazioni tesi

  Autore: Vincenzo Musmanno
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Scienze Politiche, Sociologia e Comunicazione
  Corso: Industria culturale e comunicazione digitale
  Relatore: Giovambattista Fatelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 208

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