Produzione, riproduzione e diffusione della musica nell'era digitale

Il disco, la cassetta, il compact disc, non meritano attenzione per la loro diffusione, o per una “democratizzazione dell’ascolto” (peraltro tutta da dimostrare), o per la tendenza, insita nel loro consumo, a privatizzare ciò che era per tradizione collettivo. Eppure sono questi gli spunti più frequenti di una critica che evidentemente ama relegare il disco nei territori della sociologia, nella convinzione che i “veri” problemi musicali siano altri. Forse non è così, F. Fabbri dice che “il disco è un problema musicale”. Bisognerebbe liberarsi del termine “musica riprodotta” perché fa pensare a un originale e alle infinite copie che se ne possono ricavare. Così riproduzione diventa sinonimo di “copia”, che può essere più (il CD) o meno (il vinile) fedele. Ma la riproducibilità che interessa al nostro discorso (e che interessava a Benjamin) non è la possibilità di ottenere una copia: è il fatto che si possono ottenere più originali. È un procedimento creativo, sostenuto da tecniche specifiche, il cui risultato è un insieme di originali tutti identici. Ciò che conta non è la qualità di un unico originale, ma la possibilità che tutte le caratteristiche del risultato del processo siano riconoscibili in ugual misura nei diversi esemplari.
Ciò che oggi chiamiamo “fonografia”, è l’ultima tappa di un processo iniziato nel Seicento con la “musica automatica”, evoluto nella “musica riprodotta” con il fonografo e quindi nella “musica registrata” con l’avvento delle tecniche multitraccia.