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La categoria di commerciale nella popular music

Estetica pop – estetica commerciale (?)

«Oggi “Pop” è uno dei termini più inflazionati del vocabolario comune. Lo si usa indistintamente per indicare qualsiasi cosa: un gusto, uno stile, una moda, un atteggiamento. In realtà il “pop” definisce problematicamente una particolare sensibilità estetica, nata e affermatasi in un preciso contesto storico e geografico […]; una sensibilità che ha avuto una sua storia, che ha acceso dibattiti complessi sulla natura plurale dei fenomeni culturali della contemporaneità e che forse ha avuto anche una fine proprio nel momento in cui ha perso i suoi significati originari. […]

Nella sua veste di “soglia” culturale, il pop vive un complesso rapporto di identificazione ed emancipazione rispetto alla cultura in cui nasce, la cultura di massa, che a sua volta rappresentava l’approdo alla modernità: transitorietà delle forme, potere dell’immagine, ascesa dell’oggetto, industrializzazione delle pratiche culturali, mitizzazione del quotidiano, estetica dell’artificio, mercificazione dell’arte, marginalizzazione della natura, centralità della realtà metropolitana, livellamento delle gerarchie culturali, innalzamento della moda come riferimento estetico» [Mecacci, 2011: 14-15].

Il termine pop, e il suo utilizzo, risultano essere ancora oggi un qualcosa di abbastanza indefinito, qualcosa utilizzato per descrivere e connotare diversi ambiti, compreso quello artistico e, più nello specifico, quello musicale. Musica pop può essere un diminutivo di popular music, può indicare un repertorio ben specifico all’interno di quest’ultima (opponendosi all’altro polo, il rock), può essere utilizzato per individuare una modalità di creazione e diffusione, cioè una serie di musiche create sotto l’egida dell’industria culturale, che spaziano nei diversi generi più popolari, più diffusi, e che per questo verrebbero intesi come commerciali.

Il rapporto con la serialità, con i grandi mezzi di comunicazione, con i volumi di vendita rilevanti, con il mercato globale, con la forzata ed esibita immagine massmediatica sono certamente caratteristiche rilevabili senza particolari problemi in un repertorio musicale che utilizza l’appellativo oggetto di indagine di questo lavoro: allo stesso tempo, però, queste sono caratteristiche fondanti, un qualcosa che non può essere separato (ed analizzato) dal suo oggetto di riferimento, cioè la musica.

Il parallelo qui tentato è quello tra espressione artistica, estetica pop e mercato della cultura di massa, elementi collegati tra di loro da comune evoluzione storica all’interno della realtà novecentesca. Nei capitoli precedenti si è da un lato ripercorso il pensiero storiografico e il conseguente approccio analitico, selezionando alcuni lavori ritenuti tra i più rilevanti e tra i più indicativi nel rapporto musica-industria (o mondo dell’intrattenimento); si è già accennato a come, nonostante non ricorra la parola commerciale, l’intero corpo della musiche popular sia stato, fin dall’inizio degli studi specifici, sempre accostato al ruolo esercitato da una forza esterna, cioè quella del mercato, dell’industria, e di come quest’ultima abbia influito negativamente.

Dall’altro si è tentato di dimostrare come un repertorio definito commerciale sia anch’esso (al pari di tutte le altre musiche popular) soggetto a delle pratiche di scelta e di appropriazione che, nonostante specifici condizionamenti esterni, risultano essere legittime ed autentiche. Quello che ora si vuole ipotizzare (o comunque suggerire) è che definire come commerciale un brano, un repertorio, un genere, non può essere inteso più come una connotazione negativa, bensì come una caratteristica precisa che mira a descrivere le modalità di produzione, diffusione e ricezione di determinati ambiti musicali.

Partendo dalla Rivoluzione industriale e ripercorrendo tutte le tappe che hanno contraddistinto l’evoluzione sociale e culturale della nostra società (quella occidentale), anche la gestione e la diffusione degli oggetti artistici sono state sottoposte a dei cambiamenti che tracciano un solco ben preciso tra quella che sarebbe destinata a diventare (nel Novecento e, in particolar modo, dal secondo Dopoguerra in poi) la cultura di massa e quella che aveva rappresentato, in precedenza, la condizione culturale dominante, cioè il sistema dell’Ancién régime, prima, e la società borghese, poi.

Se il Romanticismo aveva eletto la musica come musa ideale per l’espressione dei sentimenti e delle emozioni, svincolandola dalla materialità del mondo terreno (un modello su tutti, Beethoven), la società di massa ha conservato queste facoltà espressive, in un contesto materiale, però, del tutto differente, nel quale il nuovo sistema di gestione del mondo dell’intrattenimento ha impresso a gran forza le sue caratteristiche.

Il rimproverare all’arte di essersi fatta merce, di aver rinunciato a quei valori che nel tempo l’avevano caratterizzata, di sottrarsi a degli impegni “sacrali”, non regge più nella attuale situazione, perché da un lato c’è stata una rimodulazione (molto rapida e molto estesa) della scala gerarchica dei valori richiesti proprio all’arte, e dall’altra sono cambiate le condizioni materiali nelle quali questa aveva potuto esprimersi in precedenza.

Veicolare, trasmettere, produrre, ideare e sottoporre a critica una creazione artistica in una società di tipo globale, costituita da miliardi di persone, soggetta ad evoluzioni sempre più frequenti ma effimere, è tutt’altra cosa che ipotizzare le stesse dinamiche in un clima culturale come era quello del XIX secolo, in cui il fatto artistico era (sempre per evidenti situazioni storico-materiali) organizzato e gestito da una fetta molto piccola, estremamente minoritaria, di popolazione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

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Informazioni tesi

  Autore: Michele Severino
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Musicologia e beni culturali
  Relatore: Giovanni Giuriati
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 180

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