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L'Autenticità delle opere d'arte: il caso Hebborn

Esperti e falsari a confronto

Quando si parla di falso in arte il primo pensiero è generalmente rivolto al motivo che spinge un artista (perché, tranne qualche eccezione, personaggi che hanno raggiunto una simile perfezione si devono definire in questo modo) a realizzare delle opere nello stile di maestri vissuti secoli prima e spacciarle per autentiche, anziché seguire un personale percorso artistico più aderente alla propria epoca. Il desiderio di falsificare si basa su motivazioni molto variegate: l’ambizione sociale e professionale, il puro piacere di ingannare, il viscerale amore per un personaggio storico, l’odio. Si falsificava in epoca romana, quando si alteravano sculture in marmo e manufatti d’argento, firmandoli con i nomi dei maestri greci. Nel medioevo furono le reliquie dei santi ad essere oggetto di falsificazione. Nell’epoca rinascimentale, invece, le cose cambiano, in quanto è facile trovare una copia di un’opera di un famoso artista in quanto il miglior metodo utilizzato nelle botteghe era quello di far ricopiare opere del maestro ai suoi allievi. O ancora si ritrovano opere firmate dal maestro ma totalmente realizzare dagli allievi e il lavoro dell’esperto d’arte diviene quindi più difficile perché anche se esistono documenti che affermano la paternità del dipinto ad un determinato artista, non si deve escludere che tale dipinto venne poi realizzato da altre mani. L’Ottocento portò una forte domanda di opere d’arte, soprattutto da parte dei collezionisti stranieri che prediligevano soprattutto le opere italiane di qualsiasi epoca. Infine, con l’arrivo del Novecento l’opera d’arte fu anche considerata un bene economico su cui investire, soprattutto in Francia e in Inghilterra, mentre nuove tecniche scientifiche vennero perfezionate per smascherare le falsificazioni: analisi chimiche, radiografiche, spettrografiche diventeranno sempre più precise e sofisticate, sebbene sulle opere contemporanee non sia possibile smascherare falsi pigmenti o esaminarne la datazione. Così, sia per le opere contemporanee che per quelle antiche ma prive di documentazione, ci si deve affidare al parere di un esperto che può avvalersi del suo occhio per ricostruire la storia dell’opera esaminata.

Il problema del vero e del falso, però, è un problema nato con il mercato, che non esisterebbe se non ci fosse un mercato a speculare sull’arte. In un certo senso, anche il rispetto dato all’arte comincia a concretarsi quando l’arte assume valori mercantilistici. Fino a qualche secolo fa, il committente pagava l’artista per le sue prestazioni, che erano prestazioni di lavoro come quelle di un normale artigiano. E il pagamento veniva regolato più dalla capacità di contrattazione e dalla fama dell’artista che dalla sua bravura e capacità inventiva. Anche se il rapporto tra “bellezza” e moneta era difficile da stabilire, il rapporto tra artista e committente era molto diverso da quello esistente oggi tra un artista e mercante o tra artista e collezionista. Allora, la previsione di un guadagno non interferiva, anzi, non si poneva. Il committente, re o principe o papa o cardinale che fosse intendeva “arricchire” la sua dimora, renderla più bella, per tramandare un’immagine di sé stesso ai posteri tramite le opere d’arte che lo contornavano. Anche il falso, come possiamo intenderlo oggi noi, allora aveva altri significati, e certamente era “meno” falso. Per questo copie e interventi di aiuti avevano libera circolazione, senza scandalo alcuno.

Biblioteche, archivi, musei e collezioni private oggi sono piene di falsi. Dall’antica Grecia a oggi il dibattito sulle contraffazioni costituisce un affascinante capitolo della nostra civiltà. L’atto stesso della falsificazione è un fenomeno presente in tutte le ramificazioni dell’attività creativa umana. Infatti, non sono solo le opere d’arte a essere falsificate, ma anche opere di letteratura e di musica, leggi, reliquie, fotografie e dati scientifici. Lo scontro tra falsari e critici, infatti, ha paradossalmente prodotto una migliore conoscenza della nostra storia letteraria, artistica, religiosa e politica. Tra gli esempi letterari più celebri figura, come tutti sanno, il Constitutum Constantini, la cui inautenticità fu abilmente denunciata dall’umanista Lorenzo Valla (1404-1457). La questione non era di poco conto visto che su questa presunta donazione, concessa dall’imperatore Costantino (IV secolo) a Silvestro I, la Chiesa aveva fondato la sua piena sovranità sull’impero d’Occidente. E con la sua accurata analisi filologica Valla, dimostrando che il potere temporale del papa era basato su un clamoroso falso di origine medievale, si pone come uno dei fondatori della moderna critica testuale.

La storia di questo grande “falso” è dipinta sulle pareti dell’Oratorio di San Silvestro, accanto alla chiesa romana dei Santi Quattro Coronati. Secondo gli studiosi gli affreschi, che risalgono al 1246, riflettono i contrasti tra Innocenzo IV e l’imperatore Federico II. Infatti, proprio in base alla “Donazione di Costantino” il papa pretendeva, oltre a governare la Chiesa, anche l’autorità sull’Impero, mal tollerata da Federico II. Queste pitture hanno quindi un chiaro scopo politico: sottolineare la legittimità del potere temporale dei papi nel loro Stato e ribadire la loro supremazia anche sull’Impero. Le figure degli esperti e dei falsari, nel corso della storia si sono sempre intrecciate. Come Laocoonte e i serpenti, dunque, la figura del falsario e quella del critico sono venute nel corso del tempo a intrecciarsi in modo sempre più inestricabile. La mutevole natura della loro lotta infinita costituisce un tema centrale nello sviluppo della ricerca storica e filologica.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'Autenticità delle opere d'arte: il caso Hebborn

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Informazioni tesi

  Autore: Irene Cacciatore
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Studi Storico-Artistici
  Relatore: Marco Ruffini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 63

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