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Il Pubblico Ministero nel Processo Civile

Escludere il PM dal processo civile, è possibile?

Il percorso fin qui svolto ha evidenziato come inizialmente il Pubblico ministero fosse nato per vigilare sull’amministrazione della giustizia e soprattutto per “controllare” l’operato dei giudici, in qualità di rappresentante del potere esecutivo presso l’autorità giudiziaria (vedi supra cap. 1 § 1.1.).

Le leggi del Regno d’Italia fecero propri questi principi provenienti dalla tradizione francese, così anche nel nostro ordinamento, al pubblico ministero fu attribuita la funzione di promuovere la repressione dei reati, e di partecipare, mediante azione o intervento ai procedimenti civili che avessero avuto una forte rilevanza pubblica.

Solo con l’entrata in vigore della Costituzione si attuarono, per il Pubblico ministero, quelle garanzie e quella indipendenza, proprie della magistratura, da tempo auspicate. Così, nella normativa attuale il pubblico ministero è titolare dell’azione penale, che deve esercitare doverosamente, e in materia civile conserva i suoi poteri che esercita mediante l’ azione o l’ intervento nei procedimenti che necessitino di una tutela maggiore in ragione della loro rilevanza pubblica, nonostante sia venuta meno l’esigenza del controllo sui giudici. Questa apparente contraddizione non è sfuggita alle discussioni di parte autorevole della dottrina.

Al riguardo è doveroso riflettere sulla posizione assunta da Cipriani, il quale osservò che, in virtù della conquistata indipendenza del P.M. dall’esecutivo, le norme che prevedono il suo operato nel processo civile, non trovano più giustificazione, ed auspicò una inversione di tendenza, escludendo il pubblico ministero dai giudizi civili.

Si parla di inversione di tendenza, poiché sin dalla conquistata indipendenza dal governo, il P.M., ha visto aumentare, più che diminuire, i suoi poteri e le sue attribuzioni civili. Infatti l’attuale codice di procedura civile, rispetto alle leggi precedenti, ne ha esteso le ipotesi di intervento, consentendo al pubblico ministero di intervenire in tutte le cause nelle quali avesse ravvisato un pubblico interesse, di parlare per ultimo anche nei giudizi di merito (art. 117 disp. att. c.p.c.)(v. supra cap. 1 § 1.4.1., e cap. 2, § 2.3.) e di assistere alle deliberazioni della Cassazione all’articolo 380 c.p.c., poi abrogato nel ’7760.

Anche dopo l’entrata in vigore del c.p.c., il legislatore ha continuato ad estendere l’intervento obbligatorio del P.M., in casi ove prima non era previsto. Si fa riferimento all’art. 13 della l. 74/87 che ha riformato l’art.9 della legge sul divorzio (l. 898/70), prevedendo l’intervento obbligatorio del pubblico ministero per i giudizi riguardanti la revisione delle disposizioni dei figli, contenute nella sentenza di divorzio, ossia l’affidamento e i contributi da corrispondere. Ulteriori ampliamenti sono stati apportati dalla Corte costituzionale che ha dichiarato incostituzionale l’articolo 710 c.p.c., riguardante la modificabilità dei provvedimenti relativi alla separazione dei coniugi, «nella parte in cui non prevedeva la partecipazione del pubblico ministero per la modifica dei provvedimenti riguardanti la prole»61, ovvero, oggi, è richiesta la presenza del P.M. quando siano richiesti provvedimenti per la modifica delle disposizioni sulla prole, anche in sede di separazione, ai sensi dell’art. 710 c.p.c.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il Pubblico Ministero nel Processo Civile

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Informazioni tesi

  Autore: Immacolata Mecca
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Foggia
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Scienze giuridiche
  Relatore: Mario Fuiano
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 61

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codice civile
pubblico ministero
processo civile
procuratore
ordinamento giudiziario
separazione carriere
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