L'orizzonte etico schopenhaueriano. Confronto critico tra la morale di Arthur Schopenhauer e la fondazione etica kantiana

Se nelle delucidazioni che la mente meravigliosamente profonda di Kant ha dato al mondo c'è qualcosa di indubitabilmente vero, tale è l'estetica trascendentale, cioè la dottrina della idealità dello spazio e del tempo. Essa è così chiaramente fondata che non si è potuto trovare contro di essa nessuna accettabile e valida obiezione, dal momento che rappresenta il trionfo kantiano e fa parte delle pochissime teorie metafisiche che si possono considerare realmente dimostrate e delle vere e proprie conquiste. Piegando, però, ai propri particolari scopi metafisici la dottrina kantiana dell'estetica trascendentale, Schopenhauer afferma che lo spazio ed il tempo e, pertanto, la molteplicità, siano estranei alla cosa in sé, ossia alla vera essenza del mondo. Per la nostra conoscenza limitata, anzi fondata su una pura funzione organica, il molteplice è, certo, la condizione essenziale dell'esperienza empirica. Basta però interpretare fino alle sue ultime conclusioni le tesi di Kant, per comprendere che la molteplicità è soltanto apparente e che in tutti gli individui di questo mondo si manifesta, in realtà, un essere solo e il medesimo, presente, identico in tutti e veramente esistente. Attraverso questa abile e profonda trasformazione dell'estetica trascendentale nel presupposto di una metafisica rigidamente monistica, Schopenhauer ha così compiuto l'ultimo passo che lo separava dall'esplicita apologia delle proprie intuizioni fantastiche e mistiche. Si comprende come egli possa adesso sostenere che la teoria kantiana è, in verità, sempre esistita, che essa è, anzi, la dottrina kantiana fondamentale dei sacri Veda, di Pitagora, degli eleatici, dei neoplatonici, la stessa rinnovata nell'Europa medievale da Giovanni Scoto Eriugena e riproposta dai musulmani grazie ai Sufi, la stessa verità che Giordano Bruno ha scontato con il rogo e che Spinoza ha proclamato con la più limpida saggezza filosofica. Del resto, dopo Kant ed il crollo del vecchio dogmatismo, questa stessa convinzione è stata risuscitata dalla filosofia eclettica di Schelling. Egli, amalgamando le dottrine di Plotino, di Spinoza, di Kant e Jacob Bӧhme con i risultati della nuova scienza naturale, è riuscito però soltanto ad allestire in fretta una composizione soddisfacente per i bisogni spirituali e le nostalgie metafisiche dei suoi contemporanei, eppure la relativa fortuna della sua dottrina è anche la prova che essa contiene almeno un fondo di verità.
Inutilmente, scrive Schopenhauer, con un rinnovato accenno polemico agli hegeliani, “gli odierni filosofi universitari hanno il grave compito di osteggiare il cosiddetto panteismo, di modo che trovandosi in grande travaglio e imbarazzo, ricorrono, nella loro angoscia, ora alle frasi più reboanti, per rappezzare una mascherata un po' decente e camuffarne una popolare e autorizzata filosofia di donnicciole”. Con parole che rivelano, senza possibilità di equivoco, il fondo metafisico e mistico di una dottrina etica così decisa nel criticare tutte le morali metafisiche, teologiche e religiose, Schopenhauer tenta di legare l'eccellenza morale, la vera sapienza pratica a un'intuizione speculativa che ha le sue antiche radici nella luminosa saggezza degli antichi Arii, nei Veda, nelle parole del Budda.[…]