L'abuso delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni: il caso Olanda
Distribuzione e tassazione dei passive incomes
Una volta scelta la forma societaria più adatta, i passaggi successivi differiscono nei due esempi. Come anticipato, infatti, nel caso in cui la società olandese sia stata costituita con la finalità di incanalare le royalties verso gli Emirati Arabi, occorre innanzitutto che essa stipuli un contratto di licenza con la società emiratina, con il quale ottiene il diritto di sfruttamento economico di uno o più brevetti, dietro il pagamento di canoni in favore di quest’ultima. Il secondo passaggio prevede la stipula di un ulteriore contratto di sub-licenza avente il medesimo oggetto del primo, ma concluso dalla società olandese in favore della società italiana.
Dal punto di vista pratico è la società italiana ad operare sul mercato europeo, sfruttando la tecnologia del gruppo tramite la sub-licenza. In virtù di tale contratto, essa è tenuta a trasferire periodicamente le royalties alla società olandese, che a sua volta è tenuta a retrocederle a quella emiratina. In realtà, l’esperienza insegna che, di solito, la società originariamente titolare della tecnologia del gruppo non è direttamente quella residente nello Stato a fiscalità privilegiata, ma una capogruppo residente in uno Stato a fiscalità ordinaria, che cede a quest’ultima i relativi diritti in sub-licenza. Esigenze di semplificazione, tuttavia, suggeriscono in questa sede di immaginare che la capogruppo risieda direttamente negli Emirati Arabi.
Questo l’assetto fiscale che viene a crearsi: in forza della Convenzione tra l’Italia e i Paesi Bassi, la società italiana subisce una ritenuta alla fonte pari al 5% dell’ammontare lordo dei canoni. Le royalties così ricevute non sono poi tassate nei Paesi Bassi: in forza del contratto di licenza, infatti, esse devono immediatamente essere retrocesse alla capogruppo emiratina, essendo dunque deducibili dalla base imponibile olandese. In virtù dell’art. 12 della Convenzione contro le doppie imposizioni vigente tra gli Emirati Arabi e i Paesi Bassi, tali canoni non subiscono alcune ritenuta alla fonte in Olanda. Infine, se la società emiratina è stata costituita all’interno di una delle cd. free zones – specifiche aree geografiche del Paese ove non è prevista tassazione del reddito di impresa – il carico fiscale complessivo è soltanto quello della ritenuta alla fonte in Italia, ossia il 5% dell’ammontare lordo dei canoni.
Il risparmio d’imposta così conseguito dal gruppo è notevole. Per il trasferimento diretto delle royalties, infatti, l’art. 12 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia ed Emirati Arabi prevederebbe una ritenuta alla fonte del 10%. L’imposizione prevista per il trasferimento “mediato”, dunque, è dimezzata rispetto a quella del trasferimento diretto, a tutto svantaggio dell’erario italiano e a tutto guadagno degli Emirati Arabi, che per attirare investimenti esteri non esitano a porre in essere pratiche di tax competition particolarmente aggressive.
Passiamo ora al secondo esempio, che, lo si anticipa subito, presenta dei risvolti molto interessanti sia con riferimento all’operazione in sé, sia per quanto riguarda il rapporto tra le fonti convenzionali e quelle comunitarie in tema di distribuzione infragruppo dei dividendi.
Occorre innanzitutto chiarire che, ai nostri fini, a nulla rileva che la sub-holding olandese sia una società di capitali o un’associazione cooperativa di investimento. In entrambi i casi, infatti, essa è in grado di controllare una o più società italiane e di essere a sua volta controllata dalla holding panamense, ciò bastando a giustificare il trasferimento infragruppo dei dividendi. Ad ogni modo, esigenze di chiarezza (soprattutto terminologica) suggeriscono di immaginare che la controllata olandese sia una società di capitali, ad esempio una NV, anche se, come visto, nella pratica è più frequente l’ipotesi della coöperatie.
Ciò che invece è determinante ai fini dell’applicazione del trattamento convenzionale più favorevole sono le percentuali di partecipazione e il tempo di detenzione delle relative partecipazioni. Il già citato par. 2 dell’ art. 10 della Convenzione vigente tra Italia e Paesi Bassi, infatti, stabilisce che, per poter usufruire della ritenuta più bassa possibile, è necessario che la NV olandese abbia detenuto, per i 12 mesi precedenti alla delibera di distribuzione, il 50% + 1 delle azioni con diritto di voto della o delle S.p.A. italiane. Come anticipato, a queste condizioni la ritenuta in questione non può essere superiore al 5% dell’ammontare lordo dei dividendi trasferiti.
La norma in questione, tuttavia, deve necessariamente essere integrata e coordinata con la Direttiva 90/435/CE (cd. Direttiva Madre-Figlia, oggi trasfusa nella Direttiva 2011/96/UE), recepita dal nostro ordinamento con l’introduzione dell’art. 27-bis nel D.P.R. 600/1973. La normativa in questione, infatti, è stata introdotta con la medesima funzione dell’art. 10 della Convenzione, e cioè l’eliminazione della doppia imposizione su dividendi distribuiti da società controllate “figlie” nei confronti delle controllanti “madri”, entrambe fiscalmente residenti nel territorio dell’Unione.
La norma stabilisce che le società che detengono una partecipazione, pari ad un minimo del 20% del capitale sociale della controllata residente in un altro Stato membro, hanno diritto al rimborso dell’intera ritenuta applicata dallo Stato della fonte, purché “la partecipazione sia detenuta ininterrottamente per almeno un anno”. Al ricorrere di tali condizioni, inoltre, la medesima società può direttamente chiedere all’Amministrazione Finanziaria italiana l’esenzione dall’applicazione di tale ritenuta, senza la necessità di ricorrere successivamente al metodo del credito d’imposta.
Si tratta di una tipica situazione rientrante nel raggio di applicazione del già citato art. 169 del TUIR, e cioè nella quale la norma interna dispone un trattamento più favorevole rispetto alla norma pattizia. È infatti evidente che, a fronte di condizioni meno stringenti, l’art. 27-bis, così come recepito dalla Direttiva MF, esenta interamente la società erogante dalla ritenuta alla fonte, a fronte di un’esenzione solo parziale prevista dalla Convenzione. Il gruppo potrebbe dunque invocare l’applicazione dell’art. 27-bis del D.P.R. 600/1973 e non anche quella dell’art. 10 della Convenzione. In questo caso, dal punto di vista dell’Italia, l’operazione non si risolverebbe in un abuso del Trattato, quanto piuttosto in un abuso del diritto riconosciuto dalla Direttiva Madre-Figlia (cd. directive shopping).
Lo stesso invece non può dirsi con riferimento al passaggio successivo, ossia quello della retrocessione dei dividendi alla holding panamense da parte della conduit olandese. In questo caso, infatti, la Direttiva MF non può trovare applicazione, dal momento che il trasferimento è operato in favore di una società madre extra-UE. Ciò, tuttavia, non rappresenta un problema per il gruppo societario, giacché, come anticipato, la rete convenzionale olandese è molto ampia e soprattutto molto conveniente.
Nello specifico, l’art. 10 della Convenzione tra Paesi Bassi e Panama esclude che debba applicarsi una withholding tax ai dividendi trasferiti, purché la società panamense, beneficiaria effettiva degli stessi, sia una società per azioni che detiene almeno il 15% del capitale sociale della conduit erogante. Oltre a questo requisito di natura generale, la norma richiede, alternativamente, che le azioni della società panamense siano “regolarmente scambiate su un mercato riconosciuto (t.d.a.)”, oppure che il 50% di tali azioni sia detenuto da soggetti residenti in uno dei due Stati o da società le cui azioni sono regolarmente scambiate su mercati regolamentati.
Al rispetto del requisito generale di cui sopra, inoltre, i dividendi sono esenti da ritenuta anche se la società panamense è qualificabile come “sede direzionale del gruppo multinazionale, con funzioni di supervisione ed amministrazione di quest’ultimo mediante l’esercizio di un potere decisionale autonomo (t.d.a.)”
Non è tutto: il par. 4 riconosce la possibilità per l’Amministrazione olandese di concedere comunque i benefici di cui al par. 3 anche in assenza dei requisiti ivi indicati, purché la società panamense dimostri che la partecipazione non è finalizzata soltanto a godere di tali benefici.
L’assetto generato può essere così riassunto: la società italiana, posta alla base del gruppo societario, produce in Italia un reddito, che distribuisce sottoforma di dividendi alla controllante olandese. Il trasferimento è esente da ritenute alla fonte in virtù dell’applicazione della Direttiva Madre-Figlia. La società olandese procede a pagare i dividendi alla sua controllante panamense. Anche in questo caso il trasferimento è esente da ritenute, purché siano rispettati i requisiti fissati dalla Convenzione tra Panama e Paesi Bassi. Il gruppo non sconta dunque alcuna imposta sul trasferimento dei dividendi, realizzando un notevole risparmio rispetto alle ritenute alla fonte del 5% o del 10% previste dalla Convenzione tra l’Italia e Panama per il pagamento diretto.
Ai fini della buona riuscita dell’operazione, naturalmente, è fondamentale che le società del gruppo rispettino le percentuali di partecipazione richieste dalla Direttiva e dalla Convenzione. Questo, in realtà, è altamente probabile, dal momento che, se la holding intende controllare anche l’ultimo ente della catena societaria, l’effetto demoltiplicativo che caratterizza tali strutture richiede percentuali di partecipazione ben più alte di quelle necessarie a godere dei benefici di cui sopra.
Questo brano è tratto dalla tesi:
L'abuso delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni: il caso Olanda
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Informazioni tesi
Autore: | Alessandro Riccioni |
Tipo: | Laurea magistrale a ciclo unico |
Anno: | 2020-21 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 126 |
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