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La norma finanziaria e lo sviluppo del Mezzogiorno

Distinzioni nel pensiero scientifico sul dibattito meridionalistico

Ben presto, dopo la realizzazione dell’unità d’Italia, gli esponenti più attenti della cultura italiana dell’epoca, prevalentemente conservatori ma aperti alle riforme, presero coscienza del fatto che la “questione meridionale” era il più grave dei problemi che il nuovo Stato italiano era chiamato ad affrontare. In un’epoca in cui in Italia si contavano all’incirca 26 milioni di abitanti, di cui il 75% circa analfabeti, ed in cui contemporaneamente si sviluppava e diffondeva dalla Russia un’ampia e consapevole letteratura sociale, cosiddetta “populista”, volta a scoprire la società rurale russa, per gran parte arretrata e sconosciuta, la cultura italiana dell’epoca identifica la “questione sociale”in Italia soprattutto con i problemi dell’analfabetismo e dell’arretratezza del Meridione. La “questione meridionale”quindi viene ad essere compresa nella più ampia questione sociale riguardante il paese, per la grande diffusione dell’analfabetismo e anche per cercare di cementificare le diverse comunità locali interne e creare un condiviso spirito nazionale. Il primo a porre il problema, ed a cui si devono le prime analisi, fu Pasquale Villari, esponente della borghesia liberale napoletana che dopo aver partecipato ai moti rivoluzionari partenopei del 1848, fu docente universitario di Filosofia della storia e Storia in Toscana, ma sostenendo nella vita pubblica la causa unitaria; le sue opinioni politiche, pubblicate sulla stampa, gli diedero grande notorietà e costituiscono limpide riflessioni sulle contraddizioni post-unitarie e sul sentimento nazionale esistente tra i ceti colti del paese. Quindi iniziò la carriera politica e fu deputato dal 1873 al 1880, e successivamente, dal 1884 senatore, nonché ministro della pubblica istruzione nel 1904. Egli è considerato il padre del meridionalismo: nel corso della sua attività politica mantenne una forte attenzione alla drammatica situazione meridionale, a cui dedicò diversi scritti. Nella sua attività didattica, che continuò a svolgere nonostante gli impegni politici, si può rinvenire probabilmente l’espressione migliore della storiografia positivista in Italia, caratterizzata sia da un’erudita attenzione per i documenti che da un forte slancio civico e patriottico. Nel suo pensiero Villari, che fu tra i primi a studiare il fenomeno della camorra, le sue origini e le caratteristiche, riteneva necessario adottare una legislazione di riforma che fosse adeguata ad evitare “il pericolo di una catastrofe sociale” nelle campagne meridionali, e cioè che fosse determinante l’intervento dello Stato con una riforma dall’alto di fronte ai problemi di ordine pubblico nell’Italia meridionale, costituiti soprattutto dagli ormai ben conosciuti fenomeni criminali della mafia, della camorra e del brigantaggio. La questione meridionale viene ricondotta, si diceva, al problema principale di risolvere innanzitutto e necessariamente la questione sociale del paese, costituito secondo Villari, da “17 milioni di analfabeti e 5 di arcadi” (all’epoca si ritenevano essere 22 milioni gli abitanti del paese), e non doveva essere intesa, per Villari, come questione esclusivamente meridionale poiché era interesse nazionale colmare il divario tra le due diverse aree del nuovo Stato italiano. La catastrofe sociale temuta da Villari poteva nascere non solo da sommosse incontrollate ma anche da inerzia ed abbandono prolungati. Si trattava di dover intervenire con una legislazione che prevedesse norme contrattuali a protezione degli agricoltori ed abolisse le ingiustizie, e di istituire poi arbitri oppure una magistratura speciale per garantirne l’applicazione; di strutturare il credito agrario in modo da liberare i contadini dagli usurai e favorire la formazione di una classe di agricoltori proprietari. La camorra, la mafia e il brigantaggio erano considerati da Villari inevitabili se i cittadini meridionali non fossero stati liberati dalle oppressioni e dalla corruzione. Egli criticava inoltre l’indifferenza proveniente dagli ambienti più colti, civili ed agiati, in genere d’Italia centrale e settentrionale, rispetto alle condizioni delle Province Meridionali, ritenuta perciò ugualmente immorale e colpevole nell’abbandonare a sé stesse le classi ignoranti e derelitte. Dopo aver avuto modo di esporre sulla stampa le condizioni di arretratezza e di degrado delle città meridionali, Villari fu invitato da una giornalista inglese ad un confronto tra le condizioni di realtà urbane come Londra e Napoli, e quindi nelle sue “Lettere meridionali”, che furono tra i capisaldi della letteratura meridionalistica, ben presto andatasi ad irrobustire nei primi decenni successivi all’unità d’Italia, racconta del suo viaggio a Londra, due mesi dopo aver visitato Napoli, volto a descrivere il diverso grado di disagio sociale e degrado civile delle due città, sottolineandone l’estrema differenza dei casi. Visitando i tuguri londinesi assieme a poliziotti locali, dopo che ne aveva chiesto l’accompagnamento, egli racconta di non aver visto mai nulla che si potesse paragonare al sudiciume di alcune maleodoranti zone di Napoli, che la miseria era vissuta dagli inglesi con fierezza ed indipendenza, a differenza dell’avvilimento ed abbattimento napoletano, ed inoltre che i poliziotti erano obbediti e rispettati, e da queste considerazioni ne traeva la convinzione che le condizioni di Napoli, nonostante l’immensa miseria londinese, fossero ben peggiori, anche alla luce del fatto che il Parlamento inglese aveva in più occasioni emanato leggi sulla povertà, come gli rammentavano i poliziotti, mentre in quello italiano regnava l’indifferenza. Le “Lettere meridionali” di Villari risalgono al 1878, e di lì a pochi anni, nel 1884, a Napoli si diffonderà un’epidemia di colera che nel giro di tre anni, a fasi alterne, mieterà quasi 30.000 morti, di cui 8.000 nella sola città di Napoli. Negli scritti di Villari è evidente anche l’approccio moralistico alla problematica, secondo canoni tipici della borghesia liberale ottocentesca, conservatrice e fautrice, sul piano politico, della cosiddetta Destra Storica del paese. In Villari, dunque, radicale conservatore, vi è una profonda critica all’unificazione nazionale e la questione meridionale viene in rilievo nell’ambito della questione sociale del paese, questione da affrontare innanzitutto sul piano scolastico e dell’istruzione6. La realtà meridionale è descritta con lucidità ed acutezza: la miseria dei contadini raggirati dai borghesi nella divisione dei beni demaniali, lo strapotere della camorra, la disgregazione urbana di Napoli, il brigantaggio come conseguenza delle gravi diseguaglianze sociali, il potere della mafia in Sicilia praticato in sostituzione dello Stato assente, il latifondismo, lo sfruttamento del lavoro infantile nelle miniere. Per Villari il Risorgimento è un prodotto della borghesia, e si è svolto nell’assenza delle masse, di cui anche successivamente perdura l’assenza di iniziativa, lasciando quindi incontrastato il dominio della borghesia.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La norma finanziaria e lo sviluppo del Mezzogiorno

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Informazioni tesi

  Autore: Gabriele De Fazio
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Eugenio Romanelli-Griamaldi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 106

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