ISIS, know-how occidentale a servizio della propaganda jihadista
Disparità nella copertura mediatica degli attacchi terroristici
Il clamore, quello mediatico, è spesso esagerato se consideriamo che, secondo un rapporto dell’ICCT, di 51 attacchi avvenuti in occidente tra dicembre 2014 e giugno 2017, meno uno su dieci è stato portato avanti sotto ordini diretti di Isis.
Le modalità di copertura degli attacchi terroristici rappresentano, di volta in volta, un esame per la qualità del giornalismo. Il compito di quest’ultimo è, infatti, restituire un quadro completo della minaccia terroristica nel mondo e della sua complessità, cosa che non sempre avviene.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, a ricevere una copertura molto più ampia sono gli attacchi che si verificano negli Stati Uniti e in Europa.
Una prassi che non aiuta a delineare il quadro completo del terrorismo globale. Nigeria, Camerun, Yemen, Egitto, Libia, Bangladesh, Filippine sono stati paesi, allo stesso modo, vittime di attentati altrettanto sanguinosi.
Dalla mappa sono stati esclusi gli attentati in Siria ed Iraq, per la difficoltà di garantire un’informazione attendibile, relativamente a territori che sono stati direttamente occupati dallo Stato Islamico. Un dato, quello degli attacchi in questi paesi, che non dev’essere comunque trascurato, considerando che nel solo mese di gennaio 2016, Isis ha commesso più di 100 attacchi suicidi in Iraq e Siria.
I media dovrebbero avere un approccio globale nella copertura del terrorismo e mettere sotto la lente di ingrandimento anche territori e situazioni spesso dimenticate.
Ad esempio, nel caso delle vicende legate a Isis, sono state trascurate le fasi antecedenti che hanno portato all’autoproclamazione dello Stato Islamico. Prima di giugno 2014, infatti, la copertura mediatica è stata quasi assente, così come lo fu in occasione dell’ascesa di al-Qaeda in Afghanistan.
Anche le connessioni tra le diverse aree in cui sono attivi i vari gruppi terroristici sono trascurate. Paesi come Libia e Nigeria, dove operano potenti organizzazioni terroristiche affiliate a Isis, vengono coperti in misura minore dai media rispetto al Medio Oriente.
Lo stesso vale per l’attenzione dedicata agli attentati che avvengono fuori dall’Europa e sono eseguiti da gruppi che, sebbene di matrice jihadista, non sono l’Isis. Come nel caso di Mogadiscio, capitale della Somalia, dove nel mese di ottobre 2017 l’esplosione di diverse autobombe ha causato la morte di quasi 400 persone.
Attentati dietro ai quali c’è al-Shabaab (in lingua somala “i giovani”): un forte gruppo jihadista affiliato ad al-Qaeda, che opera per lo più in Somalia e nei paesi vicini. Curioso come secondo alcune fonti, Isis avrebbe addirittura preso le distanze dall’attentato, affermando «che non si tratta di jihad o di “martirio per la fede”, ma solo di omicidi di musulmani che non possono essere perdonati né giustificati».
In ogni caso, anche un attentato di simili proporzioni è entrato solo in maniera periferica nel ciclo mediatico occidentale. Il criterio della prossimità diventa quindi un grosso limite nella comprensione del fenomeno terroristico nella sua interezza.
Questo brano è tratto dalla tesi:
ISIS, know-how occidentale a servizio della propaganda jihadista
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Informazioni tesi
Autore: | Michele Venturini |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2016-17 |
Università: | Università degli Studi di Padova |
Facoltà: | Scienze Gastronomiche |
Corso: | Strategie di Comunicazione |
Relatore: | Roberto Reale |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 127 |
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