Donne in Palestina: l'attivismo sociale e politico dalla metà del Novecento alla prima Intifada
Dicotomia tra sfera pubblica e privata: il ruolo delle donne nella Resistenza come estensione del lavoro domestico
Col passare degli anni sempre più donne partecipano attivamente alla vita politica nazionale: tramite la creazione di associazioni e comitati o tramite l'azione diretta a fianco dei propri compagni, ma è opportuno considerare che queste rappresentano comunque una minoranza rispetto all'intera popolazione femminile palestinese la quale, invece, agisce indirettamente da dietro le proprie mura domestiche. Il movimento per la liberazione della Palestina tende tuttavia ad attribuire grande importanza al lavoro domestico, dal momento in cui questo offre un contributo non indifferente all'operato nazionale.
La donna in tale contesto ha il dovere di mantenere e riprodurre l'identità nazionale trasmettendo ai figli i valori culturali tradizionali, mettendoli a conoscenza di quello che li circonda e, dunque, della lotta per la liberazione della Palestina in cui le loro forze dovranno poi andare a confluire. E' quindi evidente la transizione che si verifica dalla riproduzione biologica a quella culturale dove la donna mette a disposizione non soltanto il suo corpo ma anche la sua cultura e la sua conoscenza. Indubbiamente si tratta di compiti fondamentali a cui la donna adempie, ma il problema sta nel fatto che troppo spesso questi sono frutto della discriminazione sessista che crede ancora nei ruoli di genere. Stando a ciò l'uomo, in quanto forte, dovrebbe combattere al fronte mentre la donna, in quanto angelo del focolare, dovrebbe provvedere alla cura della casa e dei figli.
Se prima abbiamo visto come la stessa riproduzione biologica assuma una forte valenza politica, adesso possiamo vedere come anche il lavoro domestico subisca un processo di politicizzazione. Questo infatti contribuisce alla lotta del movimento nazionale tramite la resistenza quotidiana di cui le donne sono artefici, al fine di proteggere il nucleo familiare dai continui attacchi sionisti e dall'onnipresenza dei soldati israeliani. Le donne non si trovano “soltanto” a lottare contro una presenza sionista costante e fissa nei propri villaggi e nelle proprie strade, ma spesso si trovano addirittura a lottare per la difesa delle proprie abitazioni che sono oggetto di continue violazioni ed attacchi sferrati da questi soldati.
Molto spesso, anche nel caso in cui le donne riescano ad evadere dalle proprie case per partecipare in maniera più diretta alla Resistenza, i tipi di attività che si trovano a svolgere altro non sono che una sorta di estensione delle faccende domestiche. Oltre che a lavorare in cucina, svolgono mansioni di cucito, di ricamo, di pulizia e quant'altro; i posti di lavoro solitamente non distano molto dalle abitazioni e sono una vera e propria riproduzione dell'ambiente familiare perché, a prescindere dal fatto che siano luoghi molti informali, alle donne è anche permesso di portare con sé i propri figli.
Poiché questo tipo di attività è compatibile con la cura dei bambini e della casa e, perciò, non rappresenta certamente una sfida alla divisione squilibrata del lavoro in base al genere, è abbastanza improbabile che vengano ostacolate dagli uomini di famiglia. Un discorso un po' differente è invece quello inerente alle donne che riescono a lavorare come quadri nelle istituzioni della Resistenza: solitamente gli uffici sono più distanti da raggiungere, è più difficile che le donne portino i figli con sé e le ore di lavoro che svolgono sono molte. Trattandosi di tempo sottratto al lavoro domestico e all'educazione dei bambini, molti uomini si trovano a non essere del tutto favorevoli al fatto che le “proprie” donne eseguano determinati compiti. Infatti in quest'ultimo caso il lavoro della donna nella Resistenza può essere interpretato come una sfida alla struttura patriarcale della famiglia.
In sintesi le donne vengono sicuramente incoraggiate a prendere parte al movimento di liberazione nazionale, ma restando nei confini di una rigida divisione sessuale del lavoro che non solo rimanda ad un secondo momento la questione di genere, ma tende anche ad assegnare alle donne attività in cui possono sviluppare e mettere in pratica le proprie competenze domestiche, difendendo così le convenzioni sociali tradizionali. Non appena queste fanno qualcosa di diverso che va a scardinare quegli schemi culturali che stabiliscono cosa queste dovrebbero o non dovrebbero fare e quali ruoli dovrebbero o meno ricoprire, vengono percepite come una minaccia alla stabilità dello stesso movimento; infatti le poche donne che riescono a prendere parte al lato strettamente militare della Resistenza, inizialmente, si imbattono sia nei pregiudizi che nella paura degli uomini.
La paura di alcuni probabilmente è relativa al rafforzamento sociale delle donne e al fatto che tale rafforzamento può essere percepito come una sfida alla loro mascolinità. «La divisione sessuale del lavoro in tempo di guerra si fonda sulla rigida distinzione tra “fronte domestico (home front)” e “fronte di guerra (battle front)”: secondo questa logica, alle donne spetta il compito di attendere il rientro degli “uomini-soldati”, piangere i morti, sostituire con nuove vite i caduti in guerra.
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Donne in Palestina: l'attivismo sociale e politico dalla metà del Novecento alla prima Intifada
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Informazioni tesi
Autore: | Gaia Ferrini |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2013-14 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Alberto Tonini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 134 |
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