Midori - Vertical farm a gestione autonoma semplificata
Design e produzione alimentare a km utile
Quando pensiamo alla sostenibilità alimentare, il nostro pensiero va immediatamente alla campagna; d’altronde, è in questo luogo che gli agricoltori coltivano la maggior parte di ciò che arriva sulle nostre tavole. Ma questa convinzione è ancora esatta?
Fino a qualche anno veniva prestata poca attenzione all’approvvigionamento alimentare all’interno delle città. Quando le autorità pubbliche parlavano di sostenibilità o ambiente l’attenzione comune si è concentrata sui trasporti, sugli approvvigionamenti energetici, sul decoro urbano. Infatti, le città in questi anni si sono trasformate in centri di servizi escludendo totalmente dal disegno urbanistico il lato produttivo alimentare. Tuttavia, oggi, in un’epoca di rapida urbanizzazione, è necessario comprendere l’interconnessione tra sistemi urbani e sistemi alimentari. Per garantire una sicurezza alimentare e preservare al contempo i nostri ecosistemi abbiamo bisogno di cambiamenti decisivi. Gli abitanti delle città consumano (e sprecano) la maggior parte del cibo disponibile e manifestano ogni giorno di più un fabbisogno di alimenti ad alta intensità ambientale; questo comporta una maggiore concorrenza per lo sfruttamento delle risorse naturali. Gli abitanti delle città dovranno affrontare non solo l’urbanizzazione, ma anche la transizione nutrizionale che questa comporterà.
Tra i tanti fattori di questa transizione, che per certi versi è già iniziata, vi è la preferenza per le filiere corte e le produzioni a km 0 (o kilometro utile): ciò significa che ciò che mangiamo sarà sempre più vicino alle nostre case, ai luoghi di lavoro, alle scuole, agli edifici amministrativi, ecc. Questo comporterà innumerevoli benefici a livello ambientale, ma non solo: contribuirà allo sviluppo di un’economia locale a favore delle piccole realtà e alla nascita di operazioni di socialità diffusa. Nasce così l’idea di reinserire all’interno delle città quella sfera produttiva che una volta faceva parte della città stessa e che nel tempo ha subito un processo di esilio progressivo. Questa parte produttiva, come visto, prende diverse forme: dalle grandi fattorie verticali con tecnologie all’ultimo grido, agli orti di quartiere; dalle colture fuori suolo nei ristoranti, agli orti didattici nelle scuole.
La disciplina del design ha un ruolo chiave da svolgere nel plasmare questi programmi adottando un approccio basato sui sistemi alimentari che però guarda a molteplici settori, attori e scale. Nei prossimi paragrafi verrà illustrato il motivo per cui oggi è importante, oltre ai fini di tutela ambientale, far si che le nostre città siano autosufficienti e perché è fondamentale avviare delle produzioni a livello urbano e come queste potranno contribuire a cambiare il futuro delle comunità urbane.
La teoria della Self Sufficient City
Il tema delle produzioni alimentari in città si ricollega a un’altra teoria di rilievo, ovvero quella delle Self-Sufficient City che prende il nome dal libro di Vicente Guallart (2010). Per spiegarla si può proprio partire dalle parole dell’autore:
[…] questi sono gli uomini autosufficienti. Essi producono energia, servizi e cibo di cui hanno bisogno di sopravvivere.
Secondo Guallart, gli uomini sono sempre stati esseri autosufficienti, ovvero in grado di produrre con i propri mezzi quello di cui avevano bisogno per sopravvivere. Per questo motivo, essendo le città opera dell’uomo, anch’esse possono essere considerate degli “organismi” autosufficienti e complessi, all’interno delle quali avvengono molteplici processi; affinché questi sistemi funzionino è importante che ci sia coordinazione e supervisione tra tutte le parti costituenti. Quindi, affinché un sistema multi scalare sia autosufficiente, tutte le scale che lo compongono devono raggiungere l’autosufficienza: case, edifici, quartieri, distretti per rendere la città autosufficiente all’interno di una regione sufficiente, in cui tutti i livelli sono collegati tramite una rete condivisa di informazione.
Questo esempio, ben 12 anni fa, illustrava come in un futuro non troppo lontano le città sarebbero state in grado di produrre le risorse necessarie per il soddisfacimento dei bisogni primari dei propri cittadini. Quel futuro è oggi. E come il design può attivare e supportare queste scale diverse? In che modo può sfruttare le sue competenze per formare delle città autosufficienti, resilienti, sostenibili e collaborative? La proposta progettuale dell’elaborato, oltre a rispondere a esigenze di tipo ambientale e sociale, rappresenta parzialmente una risposta da parte della disciplina a queste domande.
Perché produrre in ambito urbano
Per la prima volta nella storia dell’umanità, più della metà della popolazione mondiale vive in aree urbane e si prevede che questa quota raggiungerà l’80% entro il 2050. Per far fronte all’emergenza alimentare che ne conseguirà, negli anni si è iniziato a riorganizzare l’assetto delle città cercando di renderle più idonee alle produzioni agricole; come afferma Andres Duany in Theory and Practice of Agrarian Urbanism (2011), la società verrà coinvolta nella produzione di cibo in tutti i suoi aspetti: dall’organizzazione, alla crescita, alla lavorazione, sino alla distribuzione e al consumo dei prodotti.
La coltivazione agricola in ambito urbano offre numerosi vantaggi, tra cui la sicurezza alimentare per gli abitanti della città, un risparmio di energia utilizzata nelle pratiche agricole tradizionali, la riduzione dell’impronta di carbonio causata dai trasporti, la tutela della biodiversità, lo sviluppo di una filiera corta, e si configura come una possibile soluzione che integra insieme fattori ambientali, economici e sociali. Inoltre, le iniziative in questo campo hanno delle implicazioni a livello urbano, come la produzione di energia, il miglioramento della qualità dell’aria, la creazione di spazi verdi, ecc. Perciò, quando si parla di autosufficienza di una città all’interno dell’ambito produttivo agricolo, bisogna tener conto anche delle migliorie e delle ripercussioni che tali interventi hanno sul territorio e sulla comunità locale. Da un punto di vista economico, invece, la produzione in ambito urbano può essere vista come un’opportunità per la riduzione delle spese in campo alimentare. Questi progetti posso coinvolgere sia piccole comunità che grandi produttori, in relazione alla tipologia di progetto che si intende realizzare. Di conseguenze, porta con sé la creazione di nuove opportunità lavorative con un possibile coinvolgimento di strati sociali diversi.
Vediamo come le città si stanno rilanciando come innovatrici del sistema alimentare, attraverso una serie di pratiche che promuovono politiche alimentari congiunte e integrate, rafforzando la partecipazione della società civile alla governance dell’alimentazione. Si tratta ormai di una realtà consolidata e in continua espansione, sia in termini di produzione che di autoconsumo. Non solo, quindi, a scopi produttivi, ma anche come generatore di verde, di educazione ambientale e alimentare.
Possiamo quindi confermare la centralità del cibo nell’influire significativamente sul territorio e sulla vita delle persone, e sottolineare come sia ancora più evidente e imprescindibile la sua relazione con i sistemi urbani.
Attivare le comunità e lavorare sul territorio
Le pratiche sociali sono una componente fondamentale di questa trasformazione urbana. Quando si parla di produzione alimentare in ambito urbano, non si intende solo imparare a scegliere le sementi da piantare: significa anche progettare modi di condividere e collaborare. La consapevolezza di appartenere a un determinato luogo e l’aspirazione a viverlo da partecipanti attivi, restituisce ai cittadini il significato, materiale e simbolico, dell’essere abitanti. Questo ha, di conseguenza, ripercussioni positive sul luogo e l’attività stessa che si persegue tanto da poter parlare di sistemi socio-ecologici combinati.
Negli anni le pratiche agricole in ambito urbano hanno riscosso un notevole successo anche per questo motivo e, oltre che fungere da strumento per l’ottimizzazione di dinamiche socioeconomiche di una determinata area improntate su modelli sostenibili, diventa pratica sociale in grado di favorire l’aggregazione e l’integrazione, l’educazione e il miglioramento di situazioni di disagio ed esclusione. Condizioni sfavorevoli, disoccupazione o semplicemente voglia di imparare e dare il proprio contributo fanno sì che queste attività trovino un largo consenso sia nella sfera pubblica che quella privata. Ad esempio, l’agricoltura urbana come strumento di educazione della società affonda le radici in una vasta letteratura, che in alcuni casi riesce a mettere in luce i caratteri e i pregi di queste forme di vita comune.
Tra questi pregi vi è, appunto, la capacità di queste attività di integrare membri differenti all’interno di una stessa comunità e di rappresentare un beneficio per persone a bassa contrattualità (handicap fisici/psichici, dipendenti da alcool/droghe, detenuti o ex-detenuti) o per fasce della popolazione (bambini e anziani) per cui risulta carente l’offerta di servizi. Alcuni dei risultati ottenuti, sono stati inaspettati; in certi casi le innovazioni sociali contribuiscono maggiormente alle tre dimensioni di sostenibilità rispetto alle innovazioni tecniche.
A conferma di questa dichiarazione, vi è lo sviluppo sempre più inteso dei Community food hub, ovvero dei centri e spazi pubblici che danno vita a processi di rigenerazione economica e sociale, e che trovano nel cibo una leva di coinvolgimento, attivazione sociale e sostenibilità economica. Le loro caratteristiche sono: un forte radicamento nel contesto e con la comunità locale di riferimento, l’integrazione tra più settori di policy, la co-creazione tra attori sociali, cittadini ed enti pubblici, l’uso condiviso a prescindere dalla proprietà e la costruzione di risorse ad uso comune generando esiti di natura collettiva.
Quindi, vediamo come queste forme di produzione alimentare in ambito urbano siano l’espressione di un nuovo paradigma del sistema cibo basato su tre pilastri: il primo, una nuova ruralità, riscoperta e rinnovata, il secondo, consumatori-cittadini coinvolti e attivi e, infine, la nascita di nuovi sistemi alimentari che connettono il primo pilastro con il secondo.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Midori - Vertical farm a gestione autonoma semplificata
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Informazioni tesi
Autore: | Carmen Digiorgio Giannitto |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2020-21 |
Università: | Università IUAV di Venezia |
Facoltà: | Design del prodotto industriale |
Corso: | Disegno industriale |
Relatore: | Alberto Attilio Bassi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 256 |
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