Basi neurobiologiche della demenza e della pseudodemenza
Depressione e deterioramento cognitivo nell'anziano
Nei pazienti con una depressione ad insorgenza tardiva e fattori di rischio vascolari, c’è una maggiore compromissione cognitiva globale (deficit della memoria operativa e dell’attenzione, scarso insight), una maggiore disabilità e rallentamento psicomotorio, rispetto ad anziani con una depressione ad esordio precoce e privi di rischio vascolare.
Risulta difficile fare una differenziazione diagnostica rapidamente sulla base dei sintomi, in quanto la demenza e la depressione possono sovrapporsi, cioè possono manifestarsi sintomi sia di tipo cognitivo che di tipo affettivo. I sintomi comuni alla depressione e alla demenza sono: il rallentamento psicomotorio, l’instabilità affettiva, l’insonnia, il calo ponderale, l’incapacità di descrivere il tono dell’umore. I soggetti depressi con AD, a differenza dei soggetti anziani depressi privi di demenza, presentano maggiore sensibilità al rifiuto, maggiore autocommiserazione, meno segni neurovegetativi.
Sono state formulate varie ipotesi sulla relazione tra depressione e demenza:
• La demenza e la depressione hanno fattori di rischio comuni, in particolar modo in soggetti con patologie cardiocircolatorie e demenza vascolare.
• La depressione è una manifestazione precoce della demenza: ipotesi che ha avuto origine dal fatto che molti pazienti depressi poi, con il passare del tempo, sviluppano un quadro di demenza a causa possibilmente della perdita di neuroni noradrenergici a livello del locus coeruleus.
• Depressione come reazione al declino cognitivo: il paziente consapevole del declino cognitivo sviluppa la depressione che viene ad essere conseguenza del deterioramento cognitivo ma anticipa la diagnosi di demenza.
Secondo l’ipotesi della cascata glucocorticoide, la depressione svolge un ruolo causale nella demenza: lo stress porterebbe l’ipofisi a liberare l’ormone adrenocorticotropo che a sua volta stimolerebbe la secrezione di glucocorticoidi da parte delle ghiandole surrenali con conseguente compromissione dei meccanismi di feed-back ippocampali. Il danneggiamento dell’ippocampo comporta lo sviluppo della demenza.
Nonostante esista un numero abbastanza considerevole di prove di come l’ippocampo sia implicato nella memoria e nei disturbi associati ad essa (come l’AD), non è ancora chiara la relazione tra i disturbi affettivi e l’ippocampo.
Di recente gli studi si sono concentrati sulla correlazione tra depressione e proteina endogena neurotrofica, detta fattore neurotrofico cervello-derivato (BDNF) e sulla relazione tra demenze e quest’ultima. Dagli studi emerge per quanto riguarda la depressione che è possibile rilevare bassi livelli sierici di BDNF in soggetti depressi, ed è ormai noto che la terapia farmacologica antidepressiva provoca un aumento della concentrazione ematica di BDNF e un incremento dei processi di neurogenesi nell’ippocampo. I livelli sierici di BDNF si alzano man mano che prosegue il trattamento e vi è la remissione degli episodi depressivi. Il BDNF è coinvolto nei meccanismi di plasticità sinaptica e nella sopravvivenza e differenziazione dei neuroni sia del SNC che periferico. Il BDNF risulta essere importante in quanto favorisce la neurogenesi nell’ippocampo. Nei pazienti con AD si manifesta inizialmente un incremento dei livelli sierici di BDNF e, in seguito, si verifica una loro diminuzione con l’aggravarsi del quadro cognitivo.
Negli ippocampi di pazienti malati di Alzheimer con alle spalle una lunga storia di depressione, uno studio ha evidenziato una maggior incidenza di placche e grovigli. Ciò ha dato un forte contributo nel sostenere l’ipotesi di una relazione neuropatologica tra la demenza di Alzheimer e la depressione maggiore. Un altro studio ha sottolineato una riduzione del volume ippocampale in soggetti con depressione maggiore.
Le esperienze stressanti che generano depressione quindi sopprimono la neurogenesi ippocampale.
I deficit cognitivi, talvolta, vengono erroneamente considerati secondari ai sintomi principali che in genere caratterizzano la depressione, per cui non vengono presi in considerazione e di conseguenza non vengono adeguatamente trattati.
I soggetti affetti da depressione maggiore mostrano un deficit a carico dell’attenzione, della memoria di lavoro, delle funzioni esecutive ma anche a carico della velocità di elaborazione delle informazioni, come dimostrano numerosi studi. Sembra essere compromessa la flessibilità cognitiva, cioè la capacità di spostare la propria attenzione tra compiti differenti.
Lee et al. hanno evidenziato che l’attenzione, l’apprendimento, la memoria visiva e le funzioni esecutive erano significativamente ridotte già nei soggetti al primo episodio depressivo rispetto ai soggetti di controllo sani.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Basi neurobiologiche della demenza e della pseudodemenza
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Informazioni tesi
Autore: | Francesca Amoroso |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2016-17 |
Università: | Università degli Studi di Enna Kore |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Scienze e tecniche psicologiche |
Relatore: | Maria Bellomo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 99 |
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