Metamorphoseon libri XV

È vero che da Virgilio, da Omero (oltre che dal breve Apollonio Rodio delle Argonautiche) – dalla loro epica esclusiva dei fatti, sebbene non positivistica perché raffinata dalla narrativa in medias res che però ribadisce una natura selettiva – Ovidio prende le distanze, come segnala bene «who—while omitting Callimachism— singles out a strong connection between the Annals and the Metamorphoses which consists in the continuity and temporal completeness of the narration ab origine mundi up to the present period» (Merli, 2004).
Rispetto ad Ennio Ovidio è in origine più impressionista, parte dal caos e non dalla storia, per quanto arcaica, e così però perfeziona completezza continuità linearità, che assimilano le Metamorfosi agli Annali e sono francamente invocate dagli dèi nell’agile proemio. Comunque, per entrambi i poemi la continuità va intesa nel senso epico, che unisce grande e piccola scala narrativa secondo i valori dell’avventura a sfondo civile ed esito spirituale per gli Annali, della trasformazione a sfondo erotico e risultato eziologico per le Metamorfosi:

Soprattutto, bisogna ammettere che la nostra conoscenza di Ennio non è tale da dimostrare, ma neanche da escludere, somiglianze strutturali. Se pensiamo agli Annales come alla versificazione di una cronaca di Roma, anno per anno, battaglia per battaglia, è difficile vedere una qualsiasi somiglianza, ma questa versione di Ennio è probabilmente un grosso abbaglio. Noi utilizziamo Tito Livio e testi storici simili per collocare e ambientare i frammenti degli Annales in un continuum temporale, ma questo non significa che il poema avesse il passo regolare e sistematico di un’opera storica. Basta confrontare gli episodi che ci sono conservati con una stima congetturale, ma ragionevole, del numero complessivo di versi degli Annales, per capire che doveva trattarsi di un’opera estremamente varia e asimmetrica, capace di scavalcare in poche parole intere generazioni per poi concentrarsi su momenti significativi, o di perdersi in digressioni a carattere scientifico, teologico e filologico. Non è la stessa estetica del poema ovidiano, ma c’è almeno un tratto comune. (Barchiesi, 2005)

Ennio aveva già innovato l’epica, secondo valori congeniali e fin dal proemio, delocalizzato: con l’invocazione greca delle Muse (al posto delle Camene latine) omericamente sull’eccelso Olimpo, ma danzanti, come sull’Elicona le aveva introdotte Esiodo. Il poeta beota, al principio della Θεογονία, non le invocava che per la lode di loro quasi ninfe alla fonte; per l’ispirazione era invece investito tra altri rudi pastori, da parte delle Muse che allora acquisivano la qualifica olimpica (panellenica), a prepararne il ritorno nell’invocazione sospesa in chiusura perché ispirassero il canto delle genealogie dei semidèi nati da donne. [...]