Declinismo. Il dibattito sul declino degli Stati Uniti tra la fine della guerra fredda e l'inizio dell'era post-bipolare.
Declinismo nel momento unipolare
Gli anni Novanta furono, da un certo punto di vista, un periodo di grandi incertezze sulla definizione del ruolo americano e sul nuovo assetto del sistema internazionale; da un altro punto di vista però furono sicuramente un decennio di forte crescita per gli Stati Uniti e di assenza di rivali credibili.
Questa premessa è d‟obbligo per il quarto capitolo, in quanto verranno analizzati nello specifico alcuni scritti “declinisti”, che sicuramente hanno avuto un “terreno di cultura” diverso rispetto all‟opera di Paul Kennedy.
“Nessun altro presidente nella storia americana è stato debitore più di Bill Clinton della propria forza politica, e della propria fortuna, all’andamento dell’economia e dei mercati, che per molti anni gli sono stati favorevoli al di là di ogni più ottimistica previsione. All‟inizio dell‟ultimo anno della sua presidenza, nel febbraio del 2000, il boom economico […] entrava nel suo cento settimo mese e diventava così il boom di più lunga durata mai verificatosi nell’esperienza americana […] secondo i dati del National Bureau of Economic Research”. (Petrignani, R.: L’era americana, cit. pp. 454-455).
L’ultimo decennio del XX secolo ha dunque visto un’impetuosa crescita economica trainata da nuovi settori ad alto contenuto tecnologico: la cosiddetta new economy, un’economia immateriale che rivoluzionava il sistema industriale. Un’economia, per dirla con Paul Krugman, “in cui i tradizionali limiti all‟espansione economica non sono più rilevanti” (Krugman, P. 1998: America the boastful in Foreign Affairs, May/June, vol. 77, n. 3, p. 33.).
È entrato nel linguaggio comune il termine “globalizzazione” per descrivere la fase mondiale di totale integrazione economica internazionale, di frontiere aperte ai flussi commerciali, senza ormai più modelli alternativi. Il mercato unico globale e il Washington consensus, ossia le riforme economiche sostenute dal Fondo Monetario Internazionale e uniformi per tutti i paesi in difficoltà, hanno sostituito le relazioni economiche tra Stati aprendo i mercati e favorendo un impianto totalmente deregolato e liberista. Mercati aperti in cui sono penetrati, oltre che i prodotti, lo stile di vita e i valori americani.
Quello che Benjamin Barber vedeva come l‟omologante “McMondo” e Fukuyama declinava invece come la trionfale “fine della storia”, pervadeva le vite e il pensiero degli uomini in quasi ogni angolo della terra. Non è questa la sede per approfondire il concetto di globalizzazione, ma va comunque sottolineato che la tendenza individuata da questo termine sicuramente costituiva un decisivo tassello nell‟idea di un‟America senza rivali. Per dirla con Robert Gilpin, “il concetto di „globalizzazione‟ ha offerto il fondamento ideologico iniziale alla fase di espansionismo americano post-guerra fredda”.
Lo stesso Paul Kennedy, ormai diventato popolare oltre che come storico, come commentatore della superpotenza americana, in un articolo di fine decennio sicuramente più “moderato” rispetto a le tesi contenute nel suo best-seller, rilevava:
“Perciò, praticamente in tutte le dimensioni del potere, sia che si tratti del “soft power”, della cultura giovanile, o dell’”hard power” della forza militare, in tutte le aree dalla finanza alla scolarizzazione, gli Stati Uniti sembrano nel presente in una posizione mondiale migliore rispetto a qualunque momento dopo gli anni Quaranta.
Ciò è in parte dovuto allo sfruttamento e al recupero della loro forza interna, ma è anche seriamente causato dalle serie debolezze dei suoi competitori.” (Kennedy, P. 1999: The Next American Century? In World Policy Journal, Spring, vol. 16, n. 1, p. 56.)
Questo brano ci porta al secondo tassello della percezione dello strapotere americano alle porte del XXI secolo, vale a dire la mancata realizzazione delle “promesse” Giappone e Unione Europea che, nel corso degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, sembravano costituire credibili sfide all‟egemonia americana.
Ci affidiamo per un momento a un efficace articolo del 1998 di Krugman, il quale, all‟apice dello strapotere economico americano, valutava in maniera piuttosto realistica sia la preponderanza USA, sia quella che era la condizione dei presunti sfidanti di Washington. Per quanto riguarda l’Europa,
“Se comparato con l’ottimismo che prevaleva all‟inizio di questo decennio, la performance economica europea è stata in realtà una grossa delusione. Particolarmente sconvolgente per quelli che avevano riposto la loro fede nell’Unione Europea è stato il fallimento delle misure volte a rafforzare quell’unità […] per dare un impulso all‟economia del continente.” (Krugman, P.: America the boastful)
La situazione non era in realtà così negativa, ma la percezione era questa perché fondata su errati presupposti; rileva l’economista che in realtà in molti settori l‟Unione Europea non era così distante dagli Stati Uniti, “l’unico senso in cui l’Europa è rimasta indietro è il suo fallimento nell‟essere all‟altezza delle irrealistiche aspettative degli europeisti”. L’inesistenza di una coerente politica estera europea dimostrava appunto che un vero colosso politico del vecchio continente non era nato nel 1992.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Declinismo. Il dibattito sul declino degli Stati Uniti tra la fine della guerra fredda e l'inizio dell'era post-bipolare.
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Informazioni tesi
Autore: | Luigi Serra |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Perugia |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Relazioni internazionali |
Relatore: | Valter Coralluzzo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 208 |
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