Da Ernesto de Martino a Michele Risso. Nosografia di una paranoia accademica
Dall'etnografia del magico ad un'antropofenomenologia della fine
Ernesto de Martino compie un lungo e impegnativo percorso per ricondurre tutta l'umanità nella storia, un percorso che parte dalle «severe e serene stanze di Palazzo Filomarino» ed arriva alla psichiatria esistenzialista e fenomenologica di Karl Jaspers.
Partendo dall'idea di un'etnologia antinaturalistica che restituisse una storiografia delle «civiltà idealmente più lontane», che soppiantasse la categoria etnocentrica delle civiltà "primitive", de Martino è giunto ai concetti di "situazioni limite", contro cui siamo tutti destinati ad urtare, di "scrittura cifrata" come possibile linguaggio della trascendenza, di "crisi della presenza".
Attraverso un accurato studio di simbolismi arcaici e moderni, esotici ed occidentali, magico-religiosi e pagani, de Martino analizza e restituisce l'antica battaglia dell'umanità per contrastare il naufragio di tutte le sue possibilità. Dall'apparente schizofrenia dello sciamano «Iglulik Padloq», protagonista del racconto di Knud Rasmussen, con il suo penoso tentativo di salvare il figlio morente, per giungere a L'esperienza e il pensiero arcaico- primitivo dello schizofrenico, la monografia di Alfred Storch, che pone un ponte tra questi due mondi.
De Martino, fu certamente influenzato dalla madre Gina Jaquinangelo, che soleva partecipare a sedute spiritiche, e dal suo nume tutelare Vittorio Macchioro, il quale spettro volle poi esorcizzare; tale formazione costituisce la sua zona di mistero, della quale de Martino parlerà il meno possibile. Questa influenza lasciò profonde "tracce indicali" nei suoi interessi e nei suoi studi, ma sempre funzionali a ciò che costituisce la sua pietra angolare: una fenomenologia gravitante attorno alla crisi della presenza.
I mondi restituiti da de Martino, quello intriso di simbolismi mitico-rituali de Il mondo magico, e quello segnato dalle più evolute dottrine soteriologiche di ordine giudaico-cristiano de La fine del mondo, non sono poi così lontani. Ritorna infatti, il tema della crisi e della sua necessaria reintegrazione, religiosa e non solo, vista però attraverso una sua autonomia ontologica, e non come nelle precedenti monografie meridionaliste, ovvero attraverso il rapporto dato dal condizionamento storico-sociale entro il quale il tema era collocato.
Un de Martino più maturo, non diverso tuttavia, recupera dunque quella drammatica e vulnerabile esistenza che affiora ne Il mondo magico, e dopo essersi liberato di ogni precedente condizionamento politico e culturale, dei limiti e dei paletti imposti da una certa ortodossia culturale, che non vedeva di buon occhio approcci esistenzialistici e fenomenologici, intraprende questa difficile navigazione oltre le Colonne d'Ercole.
Il suo ethos trascende la datità del noto per inoltrarsi verso l'ignoto delle apocalissi culturali e psicopatologiche, per affrontare la comprensione di quel naufragio verso il quale l'esistenza si trova spesso condotta. Le tematiche che in Furore Simbolo Valore, apparvero come iniziali esplorazioni, nell'opera postuma La fine del mondo, prenderanno corpo; ed emancipandosi dallo storicismo assoluto del suo esordio intellettuale, lasceranno ampio spazio alla nuova prospettiva antropofenomenologica.
De Martino avverte l'urgenza di ripercorrere e rianalizzare fenomeni già affrontati, attraverso una lente completamente nuova, ma anche tentare di lenire il suo profondo senso di colpa di intellettuale piccolo-borghese, di fronte alla miseria culturale e psicologica delle plebi rustiche meridionali; forse anche per un debito contratto verso tutte quelle donne e quegli uomini incontrati durante le sue numerose "spedizioni etnografiche", e che avrebbe voluto aiutare in modo più concreto, come evoca il toccante telegramma che de Martino ricevette poco dopo esser tornato a Roma, al termine dell'indagine condotta sul tarantismo: «Carmela balla. Venite».
Ѐ importante sottolineare come de Martino non ritenga, in modo forse eccessivamente schematico, che il disagio psichico abbia, sempre e comunque, un'eziologia di ordine socio- economico, come si evince da queste parole: «Che ci siano condizionamenti somatici delle malattie mentali resta fuori dubbio: e altrettanto fuori dubbio è che modificando tali condizionamenti si possa esercitare praticamente un'azione terapeutica efficace», esiste purtroppo però anche un approccio esclusivamente nosografico, il quale può 'indirizzare' la patologia ed i relativi trattamenti "terapeutici", come emerge nella monografia di Michele Risso A mezza parete, che affronteremo in seguito.
Precisa poi de Martino: «il dissenso comincia quando si afferma la teoria della causalità somatica di tutti i disordini mentali, sia perché i condizionamenti possono essere oltre che somatici anche interpersonali e sociali, sia perché condizione non significa causazione, nel senso meccanico di un fenomeno provocato necessariamente da un altro, e che senza quest' altro non si può assolutamente verificare».
E conclude con un'importante precisazione: «la comprensione dei vissuti psicopatologici non significa qui minimamente affrontare i problemi diagnostici, eziologici e terapeutici della psichiatria. [Il] tema della fine del mondo non si occupa di 'malati da curare', ma di particolari orientamenti della cultura contemporanea i quali, anche se palesano un nesso con il patologico, son ben lontani dal poter essere ridotti a esso». [...]
Questo brano è tratto dalla tesi:
Da Ernesto de Martino a Michele Risso. Nosografia di una paranoia accademica
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Informazioni tesi
Autore: | Andrea Pannunzi |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2019-20 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Antropologia culturale |
Relatore: | Laura Faranda |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 61 |
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