Condividere la decisionalità in pediatria di base
Dal paternalismo al modello della decisionalità condivisa
Ogni medico dovrebbe essere in grado di anticipare le conseguenze della specifica condotta che sta per attuare nel caso concreto e gli eventuali rischi che possano derivarne tentando di eliminarli o di ridurli al minimo.
In questo senso il medico dovrebbe essere necessariamente prudente affinché le sue decisioni non siano mai avventate né basate su stereotipi e/o pregiudizi. Piuttosto, si richiede che esse siano fondate sulla critica, sull'esperienza, sull'osservazione e che mirino alla cura, alla guarigione o al miglioramento delle condizioni cliniche della persona assistita tenendo conto, in ogni caso, del libero consenso e delle autentiche decisioni di quest'ultima. In presenza di un esplicito rifiuto da parte del paziente capace di intendere e di volere, il medico dovrebbe desistere da qualsiasi azione curativa e diagnostica non potendo attuare nessun trattamento nel rispetto della volontà del paziente (Macchiarelli et al., 2002).
Sin dal giuramento di Ippocrate il rapporto medico-paziente ha fatto riferimento ad un'etica medica paternalistica basata sul presupposto secondo il quale solo il medico possiede le competenze pratiche necessarie per decidere in favore del paziente senza doverne chiedere per forza il consenso, agendo in tal modo una condotta paternalistica nei suoi confronti. È sempre stato un rapporto unilaterale nel quale il medico decideva quando, cosa e come della terapia. Il paziente non era soggetto della cura ma oggetto della stessa (Furnari, 2005).
In tale accezione il medico è detentore assoluto della conoscenza e del sapere tecnico ed è per questo che le decisioni, le preferenze, le opinioni del paziente "incapace" non sono da prendere in considerazione (Beauchamp & Childress, 2009). La relazione terapeutica viene così tradizionalmente intesa come rapporto fiduciario che implica l'affidamento di un individuo, il malato, in posizione di estrema inferiorità, ad un individuo in posizione di superiorità, il medico (Furnari, 2005).
A tal proposito appare significativa una citazione di Kant (1784) che risulta ancora straordinariamente moderna: "Se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che decide per me sulla dieta che mi conviene etc., io non ho più bisogno di darmi pensiero da me. Purchè io sia in grado di pagare, non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione" (cit. in Furnari, 2005).
Il termine paziente deriva etimologicamente dal latino patior che significa provare delle emozioni, degli affetti. Secondo la più usuale accezione clinica medica, il paziente è colui che si reca dal medico; tale parola è spesso attorniata da una sorta di alone negativo e svalutante in quanto rimanderebbe ad una persona con scarso potere contrattuale (Lis, 1993).
In realtà, il paziente non è obbligato a sopportare l'intervento medico poiché la possibilità di curare è subordinata al valido consenso della persona assistita, nonché alla sua volontà di decidere e scegliere (Macchiarelli et al., 2002).
A questo punto, dunque, è necessario interrogarci sul tipo di medicina verso la quale desideriamo orientarci.
A tal proposito facciamo nostro il modello patine centered individuato da Moja & Vegni (2000) e fondato sul concetto di "medicina centrata sulla persona" (Balint, 1957). Si tratta di un nuovo modello di medicina che non si concentra più esclusivamente sulla malattia del paziente quasi inteso in quanto macchina da ricondurre al suo normale funzionamento ma che piuttosto, entro un'ottica maggiormente complessa, si focalizza sull'intera persona presa in considerazione non solo dal punto di vista patologico (come prevedeva la medicina disease centered) ma anche nella sua umanità e nel suo vissuto soggettivo affinché ci si possa prendere cura di lei nella sua totalità (Ferrante, 2010).
"L'intervista centrata sul paziente è stata spesso contrapposta alla tradizionale intervista centrata sul medico, nella quale la conoscenza della malattia e il suo corretto riconoscimento erano prioritari. Nell'approccio centrato sul paziente si pone, invece, attenzione ad indagare le sue aspettative e l'impatto della malattia sulla sua vita che diventano aspetti importanti, quanto il corretto riconoscimento della sintomatologia" (Fontanesi, Goss, Rimondini 2007, p. 611).
Il medico e filosofo spagnolo Laìn Entralgo (1988) ritiene che i momenti fondamentali dell'arte medica siano due: il rapporto oggettivante e il rapporto interpersonale. L'uno è rivolto all'oggetto specifico su cui si incentra la domanda di cura, il corpo malato, e l'altro al farsi carico di quanto di soggettivo ed intersoggettivo circola in tale domanda. I due momenti dovrebbero stare in un rapporto di reciproco sostegno (Furnari, 2005).
Durante una visita patine centered, il paziente presenta maggiori opportunità per esprimere se stesso, le proprie ansie, le proprie preoccupazioni e il medico, a sua volta, risulta essere più attento alle sue esigenze e ai suoi bisogni (Pendleton et al., 1985).
Alla luce di queste considerazioni possiamo ipotizzare che solo entro una tale prospettiva contino davvero il punto di vista, le emozioni, le preferenze, le scelte e le decisioni del paziente sempre partecipe e protagonista attivo del processo diagnostico e terapeutico.
Questo brano è tratto dalla tesi:
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Informazioni tesi
Autore: | Ornella De Luca |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Psicologia |
Relatore: | Maria Francesca Freda |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 189 |
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