Il femminicidio in formato notizia
Dal femmicidio al femminicidio, un percorso durato vent’anni
Partiamo con la definizione di femmicidio che dal suo significato originario di "omicidio di donna" è passato ad indicare l’uccisione di una donna perché donna, sottolineando così una chiara appartenenza e differenza di genere. La più antica citazione del termine femicide (femmicidio) avvenne nel 1801 in un libro satirico pubblicato in Inghilterra per indicare genericamente "l'uccisione di una donna" come la condotta di un uomo che induce una donna a perdere la propria illibatezza, paragonandolo quindi a un omicida. Nel 1848, l'anno in cui probabilmente l'uccisione di una donna divenne un reato giuridicamente perseguibile nel Regno Unito, il termine femicide era già usato come opposto ad homicide, che identificava l'uccisione di un essere di sesso maschile.
Un vero punto di svolta è la pubblicazione nel 1992 di The Politics of woman killing, scritto da Diana Russell in collaborazione con Jill Radford. Russel, criminologa e femminista americana, non accetta che il termine femicide includa indistintamente tutte le uccisioni di donne per qualsiasi causa. L’intento è stato quindi di rimarcare l’aspetto sessista che nei secoli ha connotato la maggior parte degli omicidi di donne da parte di uomini perché donne. L’estrema conseguenza di una società patriarcale.
Il termine, sempre secondo Russell, non deve essere ridotto al solo caso di uccisione di donna a seguito di violenza o possesso sessuale, ma deve includere tutte le uccisioni di natura sessista e misogina.
Il femminicidio è il tragico finale di un continuum di terrore misogino che include un’ampia varietà di abusi fisici e verbali, come lo stupro, la tortura, la schiavitù sessuale, (specialmodo attraverso la prostituzione), abusi sessuali sulle minori incestuosi o extrafamiliari, molestie sessuali (al telefono, per strada, in ufficio, in classe), mutilazioni genitali (clitoridectomia, escissione, infibulazione), operazioni ginecologiche non necessarie (forzata asportazione dell’utero), eterosessualità forzata, sterilizzazione forzata, maternità forzata (criminalizzando l’aborto o la contraccezione), psicochirurgia, negazione del nutrimento alle donne in alcune culture, chirurgia cosmetica e altre mutilazioni in nome della chirurgia estetica. Ogniqualvolta queste forme di terrorismo hanno esito la morte, diventano femmicidi.
Definizione che ritroviamo con molta chiarezza nell’Enciclopedia Treccani, dove il femmicidio viene inteso come la categoria criminologica in cui rientrano:
gli omicidi di donne commessi durante o al termine di una relazione di intimità da parte del partner o ex; gli omicidi da parte di padri, fratelli o altri familiari in danno di figlie, sorelle o altre familiari che rifiutano un matrimonio imposto, o per qualsiasi altro motivo espressione di punizione nei confronti della donna, ovvero di controllo e di possesso; gli omicidi dei clienti o degli sfruttatori in danno delle prostitute; gli omicidi delle vittime di tratta; gli omicidi di donne a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere; ogni altra forma di omicidio commesso nei confronti di una donna o bambina perché donna.
Ma per Russel il femicide è anche e soprattutto un problema politico:
Il femmicidio è un fenomeno che gli interessi patriarcali si affannano a negare: piuttosto che contribuire a far conoscere l’entità del fenomeno, e farlo diventare di interesse politico e sociale, le più potenti istituzioni della società patriarcale, il potere legislativo, giudiziario, la polizia, i media hanno ampliamente negato l’esistenza del femmicidio.
A Russell va pertanto riconosciuto il merito di avere per prima individuato la natura politica, strutturale e genericamente connotata dell’uccisione delle donne da parte degli uomini perché donne, nominandola come tale. È invece Marcela Lagarde, una delle prime femministe attive del centro America, ad elaborare un concetto nuovo e più ampio rispetto a quello di femicide della Russell: feminicidio, termine utilizzato per la prima volta nel 1997 per descrivere la strage di donne di Ciudad Juarez.
Parola che meglio si adatta a spiegare lo stato di violenza patriarcale fondato su principi di machismo che ancora caratterizzano la società messicana e, più in generale, latino americana:
Marcela Lagarde, a partire dalle riflessioni della Russell, ha elaborato una teoria sistemica che, distinguendo semanticamente e strutturalmente femmicidio da femminicidio, interpreta ogni violenza contro le donne come fatto sociale e strutturale.
Le riflessioni di Lagarde sono partite da una problematica di tipo linguistica: la traduzione dell’inglese femicide è femicidio, che in castigliano significa genericamente «omicidio di donna». E così si presenta nuovamente lo stesso problema già affrontato a suo tempo da Russell: evitare la generalizzazione di un fenomeno che ha caratteristiche proprie e specifiche. Da qui la necessità di coniare un neologismo, quello di femminicidio. Lagarde però va oltre. Il femminicidio secondo l’attivista messicana è da considerarsi come una più ampia categoria rispetto all’originario femicide. Dal termine particolare di Russell a quello generale di Lagarde.
La differenza sostanziale sta nel fatto che mentre Russell spiega che si ha femicide quando i comportamenti violenti/misogini/discriminatori causano la morte della donna (quindi la morte è una condizione necessaria perché si possa parlare di femmicidio), per Lagarde non è così.
A partire dalle indagini effettuate ampliamo la teoria del feminicidio e oggi vi consideriamo inclusa la violenza istituzionale, non esiste sola la violenza sociale contro le donne, quella che ammazza, il soggetto attivo del crimine, bensì esiste anche la violenza delle istituzioni quando non si attivano per garantire la vita delle donne come bene primario, quando c’è un gravissimo problema di sicurezza per la vita delle donne (faccio riferimento a quanto elaborato dal Programma Delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, in relazione all’indice di sicurezza umana); non c’è capacità di garantire la vita delle donne e una obbligazione dello Stato è garantire la vita delle Persone, quando ciò non viene effettuato si tratta di una violenza istituzionale.
Il termine femminicidio secondo l’accezione conferitagli da Lagarde si riferisce quindi a tutti i “comportamenti violenti che, non necessariamente causano la morte della donna ma che tendono al suo annientamento fisico o psicologico” frutto di una violenza sistemica ed istituzionale. Parola che cela nel suo stesso significato la denuncia di una società basata ancora su archetipi patriarcali in cui la violenza sulla donna, a volte, non solo viene ignorata ma addirittura giustificata dalle stesse istituzioni.
L’introduzione del termine femminicidio è stata pertanto una tappa importante all’interno della lotta femminista, non solo perché finalmente si è riuscito a dare un nome specifico a un fenomeno che per troppo tempo è stato ignorato o nascosto dietro sviante denominazioni come quella di delitto passionale, ma anche e soprattutto perché questo fenomeno, ora avente un nome, può finalmente iniziare il percorso di riconoscimento come crimine a livello nazionale e internazionale.
A questo punto pare doveroso fare una ulteriore precisazione semantica tra ginocidio e femmicidio/femminicidio, concetti non coincidenti ma aventi alla base la stessa ragion d’essere: il riconoscimento della violenza contro le donne come lesione dei diritti umani fondamentali, e dunque dei crimini contro le donne come crimini contro l’umanità.
Torno ancora una volta a Russell, la quale ben chiarisce la differenza tra ginocidio e femmicidio. Ella sostiene che per aversi ginocidio non solo si deve verificare una delle cinque categorie di condotte approvate dall’ONU nella Convenzione sul Ginocidio del 9 dicembre 1948, ma anche che queste siano finalizzate a eliminare un numero significativo di donne perché donne.
Se nella accezione di Russell femmicidio è l’uccisione della singola donna in quanto donna, per estensione il ginocidio è la violenza sistemica finalizzata allo sterminio delle donne come genere. Insomma cambia il numero, ma resta comunque una questione di genere.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Il femminicidio in formato notizia
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Informazioni tesi
Autore: | Benedetta Rovero |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2016-17 |
Università: | Università degli studi di Genova |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Informazione ed Editoria |
Relatore: | Marina Milan |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 188 |
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