Stare bene dentro e fuori: promuovere la prosocialità nella Scuola Primaria con il programma CEPIDEAS junior
Dal contagio emotivo alle forme più differenziate di empatia
Numerosi studiosi, in particolare Nancy Eisenberg, hanno suggerito l’importanza di distinguere l’empatia dal contagio emotivo.
Il contagio emotivo rappresenta il precursore dell’empatia, si pone come primo livello di un continuum che va dall’adesione automatica alla condivisione consapevole e differenziata.
Possiamo spiegare il contagio emotivo come una condivisione emotiva priva di una vera e propria consapevolezza, si riferisce a tutte quelle forme di condivisione emotiva immediate ed involontarie, caratterizzate dalla mancanza di differenziazione tra le proprie e le altrui emozioni, l’emozione è quindi condivisa ma non in modo vicario, diventa la propria emozione.
L’ipotesi che esista una tendenza innata al contagio emotivo risale a Darwin e si colloca alla base della teorizzazione sulle emozioni della moderna etologia: secondo lo studioso l’emozione aveva un ruolo puramente comunicativo e sociale ed esisterebbe nell’uomo una capacità innata di riconoscimento delle emozioni accorpata ad una ugualmente innata tendenza a rispondere congruentemente ad esse, questa tendenza sarebbe funzionale all’adattamento, soprattutto la reazione in vista di un pericolo.
L’etologia più recente ha però ripreso questi temi: gli sviluppi cognitivi e comunicativi non possono essere spiegati solo in base alla tradizionale visione, in vista di una spinta adattiva alla lotta e alla competizione, al contrario comportamenti come la cooperazione, l’altruismo e il prendersi cura dei più deboli hanno avuto un ruolo cruciale nello sviluppo della specie umana, caratterizzata dal vivere all’interno di una società, dove è indispensabile un bagaglio naturale che favorisca la sensibilità, la capacità di discriminazione dei segnali espressi dagli altri membri della comunità e la tendenza ad alleviare le loro sofferenze.
Gli studiosi di psicologia dello sviluppo quindi, a partire dalle osservazioni di Darwin sul proprio figlio di sei mesi che reagiva con tristezza alla vista del pianto hanno confermato la disposizione al contagio e al suo ruolo svolto nella relazione affettiva tra il bambino e l’adulto Buhler (1930) descrisse la concordanza mimica tra il bambino e la madre nei primi mesi di vita, definendola mimetismo affettivo: a partire da questi studi per arrivare ai lavori più recenti, stimolati in particolar modo dalla teoria dell’attaccamento di Bowlby, molti autori hanno osservato la facilità con la quale i bambini rispondono in maniera congruente alle emozioni materne e mostrano di condividerle.
I processi implicati nel contagio come detto sono comportamenti imitativi, involontari; due forme di imitazione automatica in particolare sono state studiate dalla letteratura psicologica: la motor mimicry, l’assunzione dell’espressione e della postura di un’altra persona e la primary circular reaction, che riguarda la tendenza del neonato a piangere quando sente il pianto di un altro bambino.
Il contagio si pone quindi all’inizio di un continuum che si sviluppa attraverso forme sempre più evolute di empatia, ci si differenzia perché manca di mediazione cognitiva, di volontarietà, di separazione del sé dall’altro. Non è limitato alle fasi infantili e può comparire anche in età adulta ad esempio durante l’esposizione a forti emozioni (Bonino, 1995).
In conclusione l’empatia richiede sia la capacità di riconoscere che gli altri vivono degli stati emotivi differenziati dai propri che la capacità di discriminazione di questi diversi stati emotivi. Numerosi studi a partire da quelli di Borke, negli anni settanta, ne hanno dimostrato la precocità di apprendimento: i bambini sanno riconoscere e discriminare varie emozioni basandosi sulle modalità espressive dell’altro e sanno regolare di conseguenza il proprio comportamento per evitare conseguenze negative nei loro confronti o per rispondere in modo empatico.
Il riconoscimento delle altrui emozioni non si traduce necessariamente in condivisione empatica (Bonino, 1995), Hoffman parla ad esempio di empatia egocentrica riferendosi alle situazioni in cui il soggetto tende ad attribuire agli altri lo stesso stato d’animo che egli ha sperimentato in situazioni simili: la risposta empatica non è legata ad una precisa identificazione delle emozioni dei vissuti dell’altro, ma ad una attivazione emotiva che ha origine nell’esperienza soggettiva dell’osservatore, ne consegue che l’associazione può dare luogo ad una risposta emotiva che non coincide con quella che l’altra persona sta vivendo. L’attenzione è rivolta quindi non al vissuto interiore della persona osservata ma all’evento che la persona osservata sta vivendo e all’associazione tra questo evento e la propria esperienza, ancora una visione piuttosto egocentrata.
Al polo opposto del contagio emotivo troviamo l’empatia più evoluta, quella che prevede la massima differenziazione tra le proprie emozioni e le altrui, caratterizzata cioè dal saper condividere in modo vicario le emozioni dell’altro come separate dalle proprie, anche non avendo mai vissuto tali situazioni; determinanti sono perciò il decentramento da sé, la capacità di rappresentare il vissuto altrui e il saper assumere la prospettiva altrui.
L’empatia in definitiva può essere come detto posta su un continuum: cresce in base alla capacità di differenziazione tra il soggetto e l’altro e, attraversando la comprensione cognitiva delle emozioni altrui, si arriva alla condivisione dello stato emotivo dell’altro in forma cognitivamente mediata, condizione che più favorisce l’attuazione dei comportamenti prosociali.
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Informazioni tesi
Autore: | Caterina Discenza |
Tipo: | Laurea magistrale a ciclo unico |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Università degli Studi Roma Tre |
Facoltà: | Scienze della Formazione |
Corso: | Scienze della Formazione Primaria |
Relatore: | Giovanni Maria Vecchio |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 130 |
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