Il femminismo: un lungo cammino verso la conquista dell'uguaglianza di genere
Cultura dello stupro
Nonostante lo stupro sia il più grave fra i delitti di tipo sessuale, la maggior parte delle donne che ne sono vittime non fanno denunce perché spesso provano vergogna, temono di essere maltrattate o giudicate e anche per via di un senso di sfiducia nelle istituzioni.
Tutto ciò deriva dal fatto che molti pregiudizi, i quali vedono spesso la donna come una persona prevalentemente passiva e accondiscendente, sono duri a morire, soprattutto in Italia che, malgrado sia uno dei paesi più sviluppati del mondo, non è certo fra i più avanzati per quanto riguarda i diritti delle donne.
Questo perché domina ancora una cultura che considera lo stupro un crimine non poi così grave poiché fa parte dello stereotipo del maschio forte, verso cui si prova spesso un’istintiva solidarietà o, comunque, c’è complicità. Il violentatore viene quindi in un certo senso capito, perciò si tende a giustificarlo e a trovargli tutte le scusanti possibili.
Per non parlare della predisposizione dei media a normalizzare o addirittura incoraggiare lo stupro e altri reati a sfondo sessuale nei confronti delle donne, presentandole spesso come oggetti che sfruttano la seduzione per ottenere incarichi importanti o che si servono del loro corpo solo per apparire o per arrivare al successo. Dice Touraine:
[…], la costruzione personale dell’individuo fa leva su un’attività sessuale il più possibile desocializzata. Da qui l’importanza estrema del corpo come spazio di rapporto con se stessi e di costruzione di sé. Le donne vogliono sperimentare il piacere che il corpo può procurare loro e cercano di trasformare questo corpo attraverso il trucco, la ginnastica o la chirurgia estetica. Simili comportamenti vengono spesso interpretati dagli uomini come manovre di seduzione, ma in realtà le donne desiderano innanzitutto sedurre se stesse. […] E’ difficile tracciare il confine tra la sessualizzazione del corpo della donna da parte della donna stessa e per se stessa e una sessualizzazione che invece soddisfa la domanda dell’uomo. Ed è ancora più difficile distinguere tra pubblicità che provocano la collera delle donne (che si ritengono trattate come oggetti sessuali) e pubblicità che vengono accettate in quanto offrono degli strumenti per rafforzare la propria sessualizzazione (Touraine, op. cit., pp. 66-67).
La cultura dello stupro è deleteria non solo per le donne, ma anche per gli uomini, dal momento che si riferisce al ruolo di genere, il quale costituisce un vero e proprio limite alla libera espressione di se stessi, provocando danni psicologici che vengono quasi sempre sottovalutati.
Per far fronte a questi disagi, sono sorti i telefoni donna, le case delle donne e i centri antiviolenza, che forniscono supporto alle donne vittime di abusi ed hanno anche pianificato cortei e progetti ovunque fin dagli anni settanta per mettere fine all’oppressione femminile.
I centri antiviolenza, in particolare, offrono accoglienza, consulenza psicologica e legale; organizzano gruppi di aiuto, campagne di sensibilizzazione e prevenzione; raccolgono ed elaborano dati, bibliografie e documentari sulla violenza; orientano ed accompagnano al lavoro.
Nel 1991 si sono costituiti in una rete informale, che ha allestito congressi, riunioni e assemblee con l’intento di introdurre politiche a sostegno di donne maltrattate.
Ma solo negli ultimi dieci anni le istituzioni pubbliche hanno approntato leggi regionali a favore dei centri, stabilendo degli accordi per dirigerli, fornendo le strutture alle associazioni, condividendo scopi e progetti di lavoro collettivi.
Nel 1999 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 25 novembre “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” e ha sollecitato i governi, le associazioni internazionali e le ONG a coordinare delle attività con l’obiettivo di rendere partecipe l’opinione pubblica in quel giorno.
L’ONU ha ufficializzato questa data in seguito alla decisione di alcune donne attiviste, che nel 1981 la scelsero come simbolo della lotta alla violenza di genere, in memoria dell’efferato delitto del 1960 delle tre sorelle Mirabel, rivoluzionarie che cercarono di opporsi al regime dittatoriale della repubblica dominicana.
In Italia è dal 2005 che vari centri antiviolenza e case delle donne commemorano questa giornata ed anche altri organismi, come Amnesty International, la celebrano mediante iniziative politiche e culturali.
Il 21 gennaio 2006 è nata a Roma la Carta dei centri antiviolenza, cui hanno aderito cinquantacinque centri, per fissare dei principi comuni su cui fondarsi, come il ritenere la violenza degli uomini sulle donne un prodotto della mancata parità di potere fra i sessi; che i centri sono fondati e amministrati solo da donne; che le donne vengono rassicurate e tutelate mantenendo la loro identità nella segretezza.
I centri antiviolenza e le case delle donne, insieme a gruppi di uomini ed organi pubblici, hanno inoltre patrocinato la prima Campagna italiana del fiocco bianco, divulgata il 25 novembre 2006 dall’associazione Artemisia di Firenze, con progetti che si sono realizzati in oltre trenta città italiane.
La campagna del fiocco bianco è una campagna mondiale avviata nel 1991 dai politici di Toronto per coinvolgere la collettività nel contrasto alla violenza sulle donne. Ha avuto origine dopo la decisione di alcuni uomini in Canada di indossare un piccolo fiocco bianco come simbolo di protesta per gli abusi sulle donne, in seguito all’omicidio di quattordici studentesse del politecnico di Montreal, avvenuto il 6 dicembre 1989 ad opera di Marc Lepine, un folle ventenne che odiava le femministe. La campagna dura di solito dal 25 novembre al 7 dicembre e si celebra in più di cinquanta paesi del mondo. Gli uomini che decidono di partecipare lo fanno indossando un piccolo nastro bianco. La manifestazione ha luogo in forme molto diverse a seconda delle nazioni e delle città; restano uguali il fiocco bianco e il fine, che è sempre quello di incitare uomini e ragazzi a far sentire la propria voce contro ogni tipo di violenza alle donne.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Il femminismo: un lungo cammino verso la conquista dell'uguaglianza di genere
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Informazioni tesi
Autore: | Maria Cristina Pinti |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Sociologia |
Corso: | Sociologia |
Relatore: | Gioia Di Cristofaro Longo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 68 |
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