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Uno spazio interculturale in provincia di Varese

Criminalità e vittimizzazione tra i migranti

La storia di tutte le società è storia di migrazioni, ed è indiscutibile che senza le migrazioni lo sviluppo dell'umanità, in tutti i sensi, non sarebbe stato possibile. Tuttavia ogni migrazione ha conosciuto vicissitudini più o meno penose nella comunità di origine, durante il percorso e nella società di arrivo. Nel contesto attuale queste traversie possono essere così riassunte:

-Correlazione tra l'approdo alla devianza e alla criminalità di alcuni migranti, e la situazione di degrado economico, sociale e politico della società d'origine;

-Le condizioni in cui si svolge la migrazione sono marcate innanzitutto dal proibizionismo, cioè dalla quasi impossibilità di migrare liberamente e regolarmente;

-Le condizioni dell'inserimento nelle società di arrivo sono spesso caratterizzate sia dalla grande difficoltà di acceso alla regolarità, sia dalla forte precarietà di questa. In particolare le difficoltà di sviluppo di luoghi e momenti di socialità tra immigrati e tra essi e gli autoctoni, in particolare per i più giovani, sfavoriscono la possibilità di passare da una condizione informale/irregolare alla regolarità, e favoriscono la spinta verso l'illegalità, la devianza, la criminalizzazione, l'autocriminalizzazione.

In Italia, durante gli anni '70 e l'inizio degli anni '80 si sviluppava un orientamento "garantista" e una qualche disponibilità rispetto al trattamento sociale e umano delle devianze, nonché un certo sviluppo del werefare. Dalla fine degli anni '80, la devianza e la criminalità attribuite agli immigrati vengono considerate come fenomeni che più di ogni altro caratterizzerebbero le migrazioni internazionali contemporanee, e nel nostro paese viene rilanciata la politica di controllo rigido, che produce innanzitutto una nuova criminalizzazione, soprattutto della devianza giovanile.
A partire dagli anni '90 si afferma poi la cosiddetta "tolleranza zero" nei confronti degli zingari, degli immigrati e dei marginali nazionali. Si produce così una progressiva sostituzione del deviante con lo straniero.
Questo andamento delle politiche e delle prassi rispetto alle devianze e alla criminalità, mostra come il trattamento sociale della devianza individuale venga accantonata da un orientamento che di fatto consiste nella criminalizzazione di interi gruppi sociali (zingari, immigrati, tossicodipendenti, marginali) che sono esclusi dalle politiche e dalle pratiche di inclusione o integrazione sociale.
S. Palidda a partire dai casi studiati per la sua ricerca, propone un'ipotesi di "tipologia" dei percorsi di migrazione, cercando di capire cosa porta un immigrante a diventare deviato. Suddivide la categoria di devianti in due tipi:

-Persone che riescono a mantenere una condizione ufficiale regolare e che hanno un ruolo più o meno importante in attività illecite a seconda degli anni di permanenza in Italia (ad un'integrazione più avanzata corrisponde una posizione più "agiata" nelle attività illecite);

-Persone irregolari, spesso giovani ed arrivati da poco. Se questa categoria diventa criminale è anche il risultato dell'azione repressiva rispetto all'immigrazione irregolare e alla devianza.

I principali aspetti che si possono esaminare per ipotizzare una tipologia sono:

- L'origine: una società locale affetta da un degrado grave costituisce certamente un contesto che favorisce l'adozione di modelli devianti, tanto più se questi modelli sono veicolati da emigrati-immigrati, dalle comunicazioni, dagli scambi tra il luogo di partenza e di arrivo, al punto da far diventare il primo la periferia della società locale dell'immigrazione. Appare evidente che senza progetti di reintegrazione sociale, eventualmente anche nel paese d'origine, il fenomeno non può che riprodursi proprio perché si tratta ormai delle "periferie" d'Europa;

- La catena migratoria: le interazioni prima e durante l'emigrazione e poi con l'installazione nel paese di arrivo sono a volte decisive per il futuro dell'immigrato;

- Il contesto specifico dove l'immigrato si inserisce nella sua prima fase (favorevole o no all'integrazione regolare/giuridica, economica e sociale);

- Le occasioni di provare attività illegali in condizioni di difficoltà, di accesso o di mantenimento o perdita della regolarità;

-La "sfortuna" legata alla mancata occasione d'inserimento regolare o alla perdita della regolarità e l'eventuale criminalizzazione.

Ci sono molte illegalità che sono commesse dalla gran parte degli immigrati (ingresso clandestino, documenti falsi, lavoro nero, non rispetto dell'intimazione di espulsione, ecc.), tutavia l'ingresso clandestino e l'inserimento nell'informale non sono assolutamente variabili decisive rispetto alla deriva verso la devianza. Piuttosto le vicissitudini della vita di clandestino, dell'inserimento nell'informale, i tentativi di accesso alla regolarità e le difficoltà connesse al mantenimento di questa condizione sembrano essere gli elementi che hanno un ruolo importante in questa dinamica che conduce alla devianza. Palidda traccia anche una tipologia dei percorsi e dei comportamenti devianti classificandoli come segue:

- L'immigrato "caduto nella trappola" dell'esclusione sociale (debole capitale di risorse personali e sociali e "sfortuna"). Probabilmente vivrà nella povertà, nell'indigenza e nella capacità di inserirsi. La clandestinità è difficilmente reversibile.

- L'immigrato "caduto nella trappola" delle attività illegali (assenza di chances di inserimento regolare, passaggio dall'informale all'illegale, opportunità di provare e continuare attività illegali). Raramente matura una professionalità deviante, più spesso la sua devianza ha una durata breve o riesce a sopravvivere nella piccola devianza e diventa un criminalizzato con un alta recidività. Le attività che esercita sono: piccoli furti, vendita di oggetti di origine dolosa, piccolo spaccio di strada.

- L'immigrato "caduto nella trappola" della tossicodipendenza. Le attività illegali sono le stesse appena descritte, tuttavia è destinato alla criminalizzazione con alta recidività e alto rischio AIDS, senza possibilità di accesso ad eventuali tentativi di recupero o reinserimento regolare.

- L'immigrato che si inserisce sin dall'inizio nelle attività devianti, in certi casi può maturare una professionalità deviante. Svolge attività informali-illegali, vendita di merci ricettate, piccoli furti, spaccio, racket di connazionali, sfruttamento della prostituzione. E' a rischio di tossicodipendenza

-L'emigrato che ha sin dalla partenza l'intenzione di fare solo attività devianti. In questa categoria rientrano sia persone che maturano una professionalità deviante, sia persone che praticano piccole attività illecite, come gli ambulanti abusivi. In passato era assai raro che l'emigrato partisse con l'idea precisa di praticare attività illegali come lo spacciatore o il magnaccia, l'inserimento nella devianza era un fatto che si produceva come esito di un impatto particolare con la società d'immigrazione. Oggi sempre più sono invece coloro che partono con l'idea precisa di fare soldi illegalmente e subito. La riuscita economica e sociale attraverso la migrazione non deviante è sempre più rara e svalutata, e gli immigrati degli ultimi vent'anni offrono raramente un'immagine di buona riuscita, al contrario di coloro che praticano attività illegali. L'ansia di arrivare alla riuscita economica sembra alimentata dall'impatto con le società ricche e dall'aspirazione di arrivare subito allo "stesso livello".

La devianza e la criminalità dei migranti possono essere studiati come ogni altro problema sociale, cioè come risultato di costruzioni sociali, che consistono in molteplici interazioni tra gli attori, considerati i principali interpreti del fenomeno (i devianti o i criminali) ed altri attori che in realtà sono altrettanti principali interpreti attraverso vari contesti.
Quindi oltre ai devianti, criminali o presunti tali, si può dire che i principali attori che interagiscono nel processo di costruzione sociale della devianza degli immigrati si situano in parte nella società di origine, ma spesso soprattutto nella società di immigrazione. E' infatti evidente che una politica favorevole all'inserimento degli zingari o all'ingresso e inserimento lavorativo e abitativo regolari degli immigrati ridurrebbe a pochi casi individuali la devianza o la criminalità attribuite a questi gruppi. La soluzione starebbe quindi nella creazione di nuovi luoghi di socialità, in politiche sociali e soprattutto in un nuovo compromesso politico-istituzionale. Nell'attuale congiuntura sociale basata solo sulla repressione, non può non stupire la sostituzione progressiva dell'autoctono con l'immigrato nei ranghi della marginalità e della devianza, come nei ranghi del lavoro nero più interiorizzato e quindi tra la popolazione oggetto dell'azione repressiva e penale. Sin quando la politica migratoria continuerà a privilegiare l'azione repressiva piuttosto che favorire l'immigrazione e l'inserimento regolari, ogni speranza di risanamento del fenomeno non può che essere un'illusione ed il rischio di approdo all'illegalità non potrà che restare alto. Analogamente per quanto riguarda le relazioni tra paesi d'immigrazione e società locali di origine, anziché privilegiare la cooperazione tra polizie e in materia di repressione delle migrazioni, occorrerebbe risanare i rapporti Nord-sud, favorendo lo sviluppo sostenibile delle società di origine anche con la partecipazione degli stessi immigrati che hanno conosciuto una certa riuscita economica e sociale.
Concludo precisando che nonostante tutti i motivi che possono portare gli immigrati verso una strada deviante, compresa una politica della tolleranza zero nei loro confronti, l'allarme sociale nei confronti di tutta la categoria degli stranieri è immotivato. Oltre il 61% degli italiani crede che la presenza degli immigrati in Italia sia una minaccia alla sicurezza. La Caritas e la Migrantes hanno effettuato uno studio che ridimensiona l'allarme. Non esiste infatti corrispondenza tra l'aumento degli immigrati regolari e l'aumento dei reati in Italia tra il 2001 ed il 2005. Dopo quell'anno non sono più disponibili le statistiche ISTAT, esistono solo aggiornamenti del Ministero dell'interno che denuncia un aumento delle denunce del 46%. Tuttavia il 75% di tali denunce è verso gli irregolari e un quarto di esse riguarda il reato stesso di clandestinità. Rimane pur vero che il tasso di criminalità degli immigrati regolari in Italia è leggermente superiore a quello degli autoctoni (tra l'1,23 e l'1,40 contro lo 0,75) ma questo è da ricercarsi più nelle condizioni socio-economiche in cui vengono a trovarsi gli immigrati che non dalla loro provenienza. Una grossa responsabilità di questo allarmismo è da attribuire sia alle istituzioni politiche che ai mezzi di informazione, che parlano di immigrazione solo quando si tratta di riportare fenomeni criminosi o di ordine pubblico.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Uno spazio interculturale in provincia di Varese

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Informazioni tesi

  Autore: Guendalina Longhi
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Sociologia
  Relatore: Mariangela Giusti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 424

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