La mente che si inganna. Una prospettiva evoluzionistica sulla coscienza
Coscienza e autocoscienza
La coscienza è tutto ciò che differisce dall'esperienza inconscia. In questo senso può essere concepita come la percezione conscia e consapevole del soggetto rispetto al mondo circostante. Essa è intesa come vigilanza dell'essere svegli, invece, che addormentati o senza coscienza, rendendosi conto di quello che sta accadendo.
«La vigilanza è l'esperienza cosciente di qualche cosa (stimoli esterni o interni al nostro corpo, emozioni, stati d'animo, attività mentale); è l'esperienza cosciente della mia presenza del mondo» (Benini 2009, p. 18). Leibniz concepiva la coscienza come quella che si manifesta «sullo sfondo di una grande moltitudine di piccole percezioni inconsce» (Di Francesco 2000, p. 26).
Da Freud sappiamo che solo alcune parti delle attività mentali sono consce, mentre la maggior parte rimane all'oscuro. La coscienza si dà per differenza rispetto alla moltitudine di automatismi che ci governa. Automaticità è sinonimo di non consapevolezza, come le operazioni di routine che non hanno bisogno di un'azione intenzionale da parte del soggetto.
«Per esempio, la coscienza non svolge un ruolo determinante quando evitiamo velocemente un ostacolo in moto o in macchina. [...] Non si tratta di una pericolosa minaccia al nostro io, ma di un modo per essere efficienti. Al limite ci si può sempre rammaricare di aver evitato solo un'ombra oppure di non essere in grado di dire esattamente cosa non abbiamo investito. Intanto però siamo passati oltre sani e salvi e non abbiamo procurato danni ad altri. In certe circostante l'accuratezza dell'azione è più importante della sua consapevolezza» (Perconti 2008, p. 13).
Possiamo definire la parte non consapevole, quindi, come "accurata" ed "efficiente" ai fini della risoluzione del problema. Il cervello è fatto in questo modo per reagire al meglio nelle situazioni inattese e di pericolo. La coscienza è prettamente un monitoraggio, un'accorgersi dell'esistenza di se stessi, il guardarsi allo specchio e riconoscersi.
Il soggetto può essere cosciente da diversi punti di vista o gradi. Quando la riflessione assume una direzione introspettiva, si parla di autocoscienza. Nel primo caso siamo coscienti di qualcosa che sta accadendo, nel secondo, sappiamo di sapere.
L'autocoscienza si presenta nella forma di una coscienza secondaria, una sensazione privata dei nostri ragionamenti mentali, intesa come capacità degli individui di accedere a un mondo virtuale, che è il mondo fenomenico delle emozioni, dei pensieri, delle fantasie, dei suoni: «un soggetto di esperienza, una cosa in senso "robusto", una cosa mentale, una cosa unitaria e priva di lacune, una cosa persistente nel tempo, un agente, una cosa dotata di personalità» (Di Francesco, Marraffa 2009, p. 2).
L'autocoscienza rappresenta quella particolare sensazione cui non vogliamo rinunciare, perché è ciò che ci rappresenta come individui responsabili moralmente delle proprie azioni. Infatti, se non si è perfettamente autocoscienti, non si è responsabili moralmente: «solo gli esseri dotati di mente possono avere a cuore qualcosa; solo loro si preoccupano di ciò che accade» (Dennett 2000, p. 14).
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Informazioni tesi
Autore: | Marco Bonechi |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi Roma Tre |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Teoria della comunicazione |
Relatore: | Massimo Marraffa |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 130 |
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