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Folk Horror. Per un'antropologia dell' ''orrore popolare''

Cos'è il folk horror? Tra espressionismo e "senso del suolo"

Cos'è il folk horror?

Come sostiene Adam Scovell, scrittore e filmmaker e apprezzato studioso della materia, nel suo classico Folk Horror: Hours Dreadful and Things Strange, «folk horror [corsivo mio] è un termine prismatico», duttile, camaleontico: folk horror sono The Wicker Man (1973) e Midsommar (2019), ambientati ai "nostri giorni" (il primo negli anni Settanta, ovviamente) e dall'ambientazione "nordica" (Gran Bretagna il primo e Svezia il secondo), ma folk horror è anche Il demonio (1961), film di Brunello Rondi sul dramma esistenziale di una donna, una "posseduta", nella Lucania contadina e sulfurea già vista nei documentari Di Gianni e Gandin (ricordiamo che titoli come Magia lucana, Lamento funebre e Nascita e morte nel Meridione, senz'altro il più iconico e influente dell'intera produzione documentaristica a tema, risalgono rispettivamente al 1953 e al 1959), ambientazione anch'essa contemporanea al momento delle riprese, ma lontana dai misteri iperborei dei primi due titoli. E folk horror è anche Kill List (2011) di Ben Wheatley, un particolare noir esoterico ambientato nelle periferie inglesi, luoghi sospesi tra la città e la campagna, tra la "civiltà" e la "barbarie", luoghi liminali, tra le comodità del mondo moderno e le oscurità di un mondo antico e silenzioso, come un vulcano pronto a eruttare. Scovell, ad ogni modo, rintraccia nel suo libro precedentemente citato una storia del termine folk horror (Scovell 2017, p. 16):

(…) possiamo trovare l'unione delle due parole (…) nel libro di James B. Twitchell The Living Dead: A Study of the Vampire in Romantic Fiction (1983), in cui si riferisce al libro dell'abate benedettino Dom Augustin Camlet Treaty on the Apparitions of Spirits and Vampires, or Ghosts of Hungary, Moravia, & c. come ad "una antologia di storie folk horror [corsivo mio, potremmo qui tradurlo come "orrore popolare"] (1983: 33). Ma sembra essere un semplice modo per descrivere l'esito più orrorifico di folclore e racconti di fate (…) [traduzione mia]

Successivamente, il termine venne utilizzato da Piers Haggard, regista di The Blood on Satan's Claw del 1971 (in Italia noto come La pelle di Satana), in un'intervista del 2003 riguardo al film, dichiarando che «provai a fare un film folk horror, suppongo» (Scovell 2017, p. 16). In effetti, The Blood on Satan's Claw è uno dei tre titoli a contendersi la nomea di padre del folk horror, insieme al precedente Witchfinder General (Il grande inquisitore) di Michael Reeves, del 1968, e The Wicker Man di Robin Hardy, di due anni successivo, uscito nel 1973. Nel 2010, l'attore e regista Mark Gatiss conduce uno special BBC dedicato al cinema horror, A History of Horror, in tre episodi, il secondo dei quali si intitolava Home Counties Horror (reso nel titolo di questo capitolo come "orrore di casa nostra", essendo poco comprensibile la traduzione letterale di "orrore delle contee di casa"). In questo episodio, Mark Gatiss popolarizza l'uso del termine folk horror, dedicandosi all'analisi degli horror "di casa", ovvero i film della casa di produzione inglese Hammer Film Productions e la nuova ondata di horror "campagnoli", tra cui i titoli sopracitati, intervistando registi e sceneggiatori. Uno di questi è proprio Haggard, che a proposito della realizzazione del suo cult movie, rivela che

Ho cercato di rendere nel film gli angoli e gli anfratti del bosco, il limitare dei campi, l'aratura, il lavoro e la fatica [della terra, n.d.r. In originale, semplicemente the labour], il senso del suolo [corsivi miei]

Questo senso del suolo (sense of the soil, in originale) ci sembra la chiave per capire il rapporto tra folk horror e film etnografico italiano. Esso ricalca, per certi versi, pur tradotto nel cinema fantastico, la ricerca di Di Gianni per ciò che potremmo chiamare drammatico contadino, ovvero l'interesse per i riti del mondo contadino, oggetto dei documentari etnografici, e il drammatico ad essi intrinseco, così come reso nelle forti immagini in bianco e nero di Nascita e morte nel Meridione, ad esempio, attraverso la sua personale propensione per l'espressionismo. E affine al senso del suolo è anche l'immagine evocata dalla voce fuori campo del film La Madonna del Pollino, quella di un «rapporto fra gli uomini, la grotta e le pietre» e soprattutto dei «rozzi aratri di legno [deposti] (…) attraversando boschi e torrenti», così come la fatica della vita e del lavoro contadino riemergono nel «lungo e faticoso cammino di ore a piedi» per raggiungere il santuario (Marano 2007, p. 40), elementi del tutto simmetrici al bozzetto rurale che apre il film di Haggard e descritto nell'intervista rilasciata a Gatiss per la BBC. L'intenzione di riprodurre il senso del suolo ci pare dunque molto vicina a quella di Di Gianni, che ha esplicitamente dichiarato come

non abbia mai inteso realizzare un film "scientifico", un documento "oggettivo", ma abbia voluto rappresentare, attraverso i calanchi e i contadini poveri, un "paesaggio dell'anima", un "luogo della memoria" legato alla sua infanzia.

Nei film folk horror, infatti, il paesaggio non è solo lo sfondo dell'azione, la scena, ma agisce come un personaggio, rientra a tutti gli effetti tra gli attanti del play, insieme agli attori. A proposito del weird, «la presenza di qualcosa che non è al suo posto», e dell'eerie, «un fallimento di assenza o un fallimento di presenza», che ammantano tanta narrativa (incluso dunque il cinema) dell'orrore, Mark Fisher descrive due topoi estetici, su cui tanto l'horror che il cinema (soprattutto) di Di Gianni si incardinano. Innanzitutto, secondo l'autore di Leicester, prendendo come punto di riferimento l'opera dello scrittore H. P. Lovecraft,

Una prima caratteristica del weird (…) sarebbe (…) una narrativa in cui non l'impossibile, ma l'esterno «può fare irruzione, attraverso spazio e tempo, in un'ambientazione fattualmente familiare»

Adam Scovell teorizza una Folk Horror Chain, una catena tematica che mostri la concatenazione dei topoi strutturali del genere, e il cui primo anello di congiunzione (link, in originale) è proprio il paesaggio, landscape.

Esso non è il mero setting della scena o l'ovvia logica per cui tutta l'arte narrativa deve avere un dove [corsivo mio] in cui agire il dramma. Il paesaggio è essenzialmente il primo anello di congiunzione, in cui elementi propri della sua topografia hanno effetti avversi sull'identità sociale e morale dei suoi abitanti. (…) Il paesaggio è perciò la chiave per il secondo elemento della Catena del Folk Horror: quello dell'isolamento.

È il paesaggio della "natura matrigna", diremmo ricorrendo a Leopardi, temibile e dotata di una propria temibile agentività. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Folk Horror. Per un'antropologia dell' ''orrore popolare''

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Informazioni tesi

  Autore: Michele Catapano
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2021-22
  Università: Università degli Studi della Basilicata
  Facoltà: SAGE - Scienze Antropologiche e Geografiche
  Corso: Antropologia culturale ed etnologia
  Relatore: Francesco Marano
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 105

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Parole chiave

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