La corrispettività nelle vicende sospensive della prestazione di lavoro
Corrispettività o proporzionalità nel contratto di lavoro?
Volendo tirare le somme delle varie tesi succedutesi negli anni sul tema della corrispettività del contratto di lavoro emerge sicuramente il tentativo di superare la visione barassiana della corrispettività come "corrispondenza biunivoca" pure ad opera della stessa corrente c.d. "contrattualistica", salvo, poi, ritornare unicamente negli ultimissimi anni - e ad opera del governo più che della dottrina- a posizioni molto simili a quelle del primo Barassi.
Una siffatta ricostruzione può essere tra l'altro confermata anche dalla parallela ed inversa evoluzione delle vicende sospensive che a partire dagli anni cinquanta e fino al duemila avranno prima una forte crescita quantitativa e poi un miglioramento anche qualitativo stante il quale, a maggior ragione, diventerà impossibile sostenere l'idea di un contratto individuale di lavoro basato solo su di uno scambio "puro" tra la prestazione lavorativa e la controprestazione retributiva. Tale ultimo punto sarà, tuttavia, oggetto del successivo capitolo secondo.
Resta, dunque, da far emergere un dubbio di fondo, ovverosia in ultima istanza: "cosa è corrispettivo di cosa?".
Come faceva notare un autore, già nei primi anni novanta - e tralasciando in questa sede l'orientamento pro "corrispettività allargata" che, come visto, non accoglie una visione totalmente corrispettiva del contratto di lavoro- a questa domanda l'orientamento "classico" sembra rispondere che è corrispettivo "tutto ciò che si lega al lavoro effettivo", laddove quello "derogatorio" ritiene che lo stesso corrisponda a quello che il datore deve dare "in virtù del rapporto", mentre per il "neo-classico" è quanto l'imprenditore è tenuto a corrispondere se "vuole procurarsi un'utilità mediante il lavoro subordinato". Venendo, poi, all'attuale filone di pensiero "classico-flessibile" appare incontrovertibile la visione del corrispettivo come il "minimo sufficiente" da erogare per le singole ore di lavoro prestate in una condizione che, per il resto, è di massima precarietà del lavoratore.
La sensazione è, dunque, quella di una generale confusione tra i termini "corrispettività" e "proporzionalità".
Pare, cioè, che seppure con diverse sfaccettature - tra chi estremizza in positivo il concetto di corrispettività per farvi entrare anche tutele eteronome (orientamento "neo – classico") e chi, invece, lo estremizza in negativo per tagliare i "costi dei diritti" (orientamento "classico- flessibile") - quanti hanno voluto salvare un inquadramento strettamente sinallagmatico del contratto individuale di lavoro, siano stati, in realtà, mossi dal bisogno di ribadire che il lavoro subordinato deve essere anzitutto utile per il datore. E, per essere tale, va in primis prestato con il bagaglio di professionalità ed il tempo propri del lavoratore. Solo così si avrà "pieno" diritto alla retribuzione. Ma ciò, a ben vedere, altro non è se non quella "proporzionalità" di cui all'art. 36, primo comma, della Costituzione. Come si ricorderà, la norma appena detta apre proprio con l'affermazione per cui la retribuzione, cui ha diritto il lavoratore, deve essere "proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro".
Se l'obiettivo era, dunque, quello di far passare il messaggio del "nulla è regalato", non era in tal senso indispensabile enfatizzare un concetto di corrispettività, peraltro, sovente sottoposto a tante e tali torsioni da finire snaturato. Non solo, ma per produrre un risultato già acquisito dall'ordinamento giuridico si sono introdotti elementi potenzialmente molto pericolosi come quell'equazione scambio utile per il datore di lavoro = corrispettività, che ha avuto un vero e proprio "effetto calamita" sulla maggior parte della dottrina e della giurisprudenza.
Attraverso manipolazioni è, infatti, possibile far leva su quest'ultima per avvallare ulteriormente, stante il fondamento giuridico acquisito per il tramite delle norme civilistiche sulla corrispettività, pretese datoriali dirette a pagare solo in cambio di un certo risultato, magari legato a valutazioni discrezionali, per il raggiungimento del quale inevitabilmente potrebbero essere sacrificati i diritti fondamentali del lavoratore.
La non astrattezza di un siffatto rischio si coglie, d'altra parte, nelle recentissime vicende Fiat, quali gli ormai celebri casi di Pomigliano e Mirafiori, da cui, sono, poi, scaturiti i vari accordi interconfederali e l'art. 8 del d.l. n. 138/11, convertito in l. n. 148/11, in precedenza esaminati.
Essi rappresentano il momento in cui si esprime al massimo la filosofia della corrispettività incardinata sull'unilaterale utilità datoriale.
Il lavoratore, cioè, intanto avrà diritto alla retribuzione ed alla conservazione del posto di lavoro, sotto minaccia di chiusura degli stabilimenti e conseguente delocalizzazione, in quanto adempia al dovere di svolgere non già, semplicemente, il suo lavoro bensì uno utile, ovverosia produttivo di particolari risultati. Il che attua la compressione di taluni diritti quali, nei casi di specie, lo sciopero ed i riposi.
Come sottolineato da un autore, sembra, dunque, nascere con i casi Fiat un nuovo sinallagma tra investimenti datoriali versus rinuncia da parte dei lavoratori ai loro diritti.
Questo brano è tratto dalla tesi:
La corrispettività nelle vicende sospensive della prestazione di lavoro
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Informazioni tesi
Autore: | Carmen Amato |
Tipo: | Tesi di Dottorato |
Dottorato in | Diritto Privato per l'Europa - area Diritto del Lavoro |
Anno: | 2011 |
Docente/Relatore: | Giampiero Proia |
Istituito da: | Università degli Studi Roma Tre |
Dipartimento: | Diritto del Lavoro |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 224 |
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