Le lingue inventate: vonlenska e dintorni
Che cos'è la glossopoiesi?
L'attività di progetto e sviluppo di una lingua artificiale prende il nome di GLOSSOPOIESI, dal greco glossa (lingua) e póiesis (creazione). Dalla stessa radice del verbo poiêin (creare) è derivata anche la parola poeta cosicché, oltre alla più diffusa etichetta di glottoteta, possiamo chiamare gli autori di lingue artificiali anche glossopoeti, sottolineando l'aspetto estroso e artistico del loro operato.
Preso atto del fatto che si parlano tante lingue diverse e che ciò porta inevitabilmente a delle incomprensioni, si può decidere di inventare una lingua per svariati motivi: religiosi, filosofici, scientifici o pratici, come nel caso delle lingue create per favorire gli scambi commerciali internazionali. Spesso, e in particolare nel periodo umanista (tra fine Cinquecento e inizio Seicento la glossopoiesi è venata di slanci utopistici: l'utopia di una lingua perfetta, priva di falsità ed errori, capace di rispecchiare la struttura logica della mente umana, l'utopia di una fratellanza universale che renda gli uomini più buoni e solidali fra loro, l'utopia di un mondo futuro che si auspica migliore di quello esistente. È il caso appunto della lingua di "Utopia", di Thomas More, che sarà fonte di ispirazione per tutto un filone letterario dove proprio le lingue inventate sono protagoniste. In una repubblica dove regna la democrazia e la tolleranza, specchio di un mondo perfetto dove la guerra, la pena di morte e la proprietà privata sono i mali peggiori da evitare, è giocoforza che anche il linguaggio rifletta tanta perfezione.
L'altro filone di indagine legato alla glossopoiesi è quello che si propone di rintracciare la lingua primigenia, ricerca legata a motivazioni religiose.
Il tema della confusione linguistica e della ricerca di un rimedio attraverso una lingua universale inventata attraversa infatti la storia di tutte le culture. Nella cultura occidentale, per esempio, troviamo il mito della lingua adamica, perduta poi per la superbia dell'uomo.
Adamo parlava con Dio attraverso una lingua intraducibile, più vicina a un'illuminazione interiore che non si può tradurre in nessun idioma. Ma dopo il Diluvio l'arroganza degli uomini portò al disastro di Babele, come si legge nel nono capitolo della Genesi. Se prima tutta la terra aveva una lingua sola e parole uguali, dopo la sfida della torre, il Signore decise di punire l'umanità confondendo le lingue in modo che non ci si potesse più capire l'uno con l'altro, condannandoci per sempre all'impossibilità di parlare senza fraintendimenti, cosa che rende la comunicazione un "mestiere" tanto complesso. Si intende quindi quanto potrebbe essere forte il potere derivato da una lingua unificata.
Ancora, il mito della torre è presente anche a molti autori arabi i quali però ritengono che la confusione sia avvenuta per il trauma di veder cadere la torre, quindi non come una punizione divina. Questo però non cambia molto; ciò che è importante da sottolineare è in tutte le cosmogonie, occidentali e non, ritorna la problematica della molteplicità delle lingue. Tuttavia, ciò che accomuna tutte i tentativi di glossopoiesi e il bisogno di trovare una soluzione nascono non tanto dalla presa di coscienza che esistono tante lingue, ma che la propria non sia la lingua perfetta.
Alle lingue naturali si rimprovera di aver perso di vista il rapporto con la verità delle cose, di non esprimere la realtà delle categorie ontologiche. Accusa che è molto di più di dire che le parole rivestono sensi differenti che i locutori intendono significati diversi e variabili: è accusare le lingue di non sapere dire la verità ontologica di cui i significati presenti nella mente degli individui umani sono solamente un'immagine, una riproduzione. Questa accusa scavalca il livello dei contenuti delle parole e si rivolge direttamente ai referenti: sono questi che stanno andando perduti nella disordinata lingua umana e sono questi che vanno recuperati per risolvere il problema dell'ambiguità.
A fianco di queste componenti, ne esiste poi un'altra spesso messa da parte nelle trattazioni linguistiche, ed è la componente ludica d'impronta infantilistica che, priva di mire utopiche o utilistiche, altro non fa che assumere il linguaggio come un gioco. Di questo tipo sono molte lingue artistiche. Per quanto riguarda la glossopoiesi (anche se sarebbe più corretto in questo caso parlare di glossolalia)
nel bambino, questa è stata molto rivalutata a partire dai primi del Novecento, specie nell'ambito della psicolinguistica.
L'attività di glossopoiesi infatti prima di essere un'attività per linguisti è qualcosa con cui senza saperlo abbiamo a che fare fin da piccoli: i bambini sono infatti tra i più attivi inventori di lingue e nei
primi anni di età è un'attività assai frequente inventarsi dei personali codici di comunicazione.
Infine tra i casi più suggestivi ci sono quelli di glossolalia, termine con cui solitamente si indicano quelle lingue inventate nella patologia, specie nei soggetti schizofrenici e psicotici poiché presuppongono l'assenza o quasi della pianificazione.
Tuttavia è fondamentale ricordare che la glossopoiesi è stato anche il punto di partenza della linguistica stessa, in quanto ai suoi inizi questa disciplina si proponeva di ricreare la protolingua attraverso lo studio comparato delle lingue.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Le lingue inventate: vonlenska e dintorni
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Informazioni tesi
Autore: | Sara Casaburi |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze della comunicazione |
Relatore: | Maria Pia Marchese |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 45 |
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