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La controversia tra Italia e Brasile nel caso Cesare Battisti: profili di diritto internazionale

Cesare Battisti in Brasile

Nel 2004, in seguito alla fuga dalla Francia, Battisti si rifugiò in Brasile, dove visse sotto falso nome fino al 2007, quando fu arrestato a Copacabana in seguito ad un’operazione congiunta di Interpol, carabinieri, autorità brasiliane, francesi e italiane. In particolare, le autorità italiane, maggiormente interessate alla cattura del latitante, ne chiesero l’estradizione e l’arresto provvisorio sulla base dell’articolo 13 del trattato di estradizione tra Italia e Brasile del 1989, in attesa che le autorità brasiliane competenti in materia esaminassero la richiesta italiana ugualmente fondata sul suddetto trattato.
Battisti agì altrettanto tempestivamente chiedendo, nel 2008, - quattro anni dopo il suo arrivo in Brasile - il riconoscimento dello status di rifugiato politico. Egli asserì come motivazione il timore di essere perseguitato per le sue opinioni politiche, rilasciando, inoltre, un’intervista dal carcere in cui dichiarò che, nel caso in cui fosse stato estradato in Italia, avrebbe rischiato di essere ucciso.

Il 14 gennaio 2009, il Ministro della giustizia brasiliano, Tarso Genro, convalidò la concessione dello status di rifugiato politico a Battisti, in quanto, in caso di rientro in Italia, avrebbe potuto essere sottoposto a persecuzione per le sue opinioni politiche. Tale decisione era in contrasto con quanto “suggerito” dal Comitê Nacional para os Refugiados (in seguito anche CONARE), ovvero dall’organo brasiliano competente ad esaminare le richieste di asilo politico, di cui tuttavia il Ministro della giustizia è Presidente.
Dopo una serie di rinvii, il 18 novembre del 2009 il Supremo Tribunal Federal (in seguito anche STF), con cinque giudici a favore contro quattro, giudicò illegittimo, quindi inefficace dal punto di vista giuridico, lo status di rifugiato politico concesso dall’esecutivo brasiliano e votò a favore dell’estradizione di Battisti in Italia, non riscontrando la sussistenza di motivi ostativi. Il Tribunale affermò, però, che l’ultima parola sull’estradizione spettava al Presidente Lula che avrebbe potuto negarla per motivazioni politiche.

Il Presidente Lula attese il 31 dicembre 2010, ovvero l’ultimo giorno del suo mandato, per emettere la sua decisione di non procedere con l’estradizione di Battisti. Tale decisione fu presa seguendo il parere reso dall'Avvocatura dello Stato al Presidente del Brasile in cui si sostenne che Cesare Battisti sebbene fosse stato condannato per crimini di matrice comune, avrebbe potuto subire conseguenze negative dalla sua estradizione.
La richiesta di scarcerazione presentata immediatamente dopo le dichiarazioni del Presidente Lula dai legali di Battisti fu tuttavia respinta il 6 gennaio 2011 dal Presidente del Tribunale supremo, che riaprì il caso, affidandolo alla camera plenaria.
Il 4 febbraio 2011, l’Italia presentò un ricorso contro la decisione dell’ex Presidente Lula di non convalidare l’estradizione di Battisti. Nonostante le precedenti decisioni favorevoli, l’8 giungo 2011, il STF respinse il ricorso italiano. La Corte si astenne dal valutare nel merito il ricorso presentato dal Governo italiano contro la scelta dell’ex Presidente Lula di negare l’estradizione di Cesare Battisti. Secondo la magistratura brasiliana, infatti, il diniego di estradizione costituirebbe un “ato político”, insindacabile sul piano giurisdizionale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La controversia tra Italia e Brasile nel caso Cesare Battisti: profili di diritto internazionale

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Informazioni tesi

  Autore: Lucia Tria
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Parma
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Elena Carpanelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 98

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