La decorazione delle cappelle laterali della Certosa di Pavia nel seicento: gli interventi scultorei
Caratteri generali del cantiere scultoreo della Certosa
Come abbiamo appena visto, gli interventi si sviluppano in un clima di grandi scambi culturali e di innumerevoli influenze anche esterne alla Lombardia. Gli scultori sono particolarmente inseriti in una tendenza, che poi verrà definita come barocca, caratterizzata dal superamento del classicismo, per lasciare spazio all’utilizzo di forme composte, adatte a sottolineare una parte più prettamente evocativa, che meglio rispecchi l’“eccesso di sentimento” dell’artista e contemporaneamente susciti quello dello spettatore: è un atteggiamento innovativo rispetto alla concezione classicista della scultura. Lo sviluppo di quest’attitudine artistica è favorita sia dagli obblighi imposti dalla controriforma, che vertono verso la suggestione, sia se si tiene conto che il Seicento è il periodo in cui gli artisti viaggiano verso Roma per la loro formazione, dove “vanno ad iniziarsi ma alla provincia ritornano recando vanto dell’esperienza nuova ed innestando e rinnovando in senso romano- berniniano le novità sul vecchio tronco lombardo”, portando alle imprese delle fabbriche un senso di innovazione: lo scultore tende a tralasciare la sola riproposizione delle figure e delle tematiche classiche, accentuando invece il particolare ricercato. Ciò conduce alla realizzazione di un’opera che contenga anche il sentimento religioso proprio dell’artista: un’elaborazione personale dell’evento che viene rappresentato diventa indispensabile, portando inevitabilmente ad una scelta di dettagli diversi per ogni artista.
Tuttavia l’innovazione non si limita ai temi, ma questo aspetto è indissolubilmente accompagnato a un nuovo clima di collaborazione, che ha, specificatamente per l’ambito scultoreo, una solida base negli insegnamenti di Gian Lorenzo Bernini, a cui facevano riferimento la gran parte degli scultori del periodo; infatti “il berninismo fu nel Seicento un fenomeno di impressionante vastità, di incredibile estensione in larghezza e in profondità; tanto quel nuovo linguaggio scultoreo dilagò da Roma per l’Italia non solo nei grandi centri ma, in forme ridotte e popolaresche, anche nei più piccoli e sperduti di ogni regione”. Il modo di costui di concepire la scultura e l’opera d’arte in genere fu quindi di diffusione capillare, poiché incontrò il favore sia dei laici che della committenza ecclesiastica, che lo recepirono come un modo di espressione attuale e attualizzante, fatto che portò all’espansione più o meno varia di questo pensiero in diversi settori di applicazione, toccando quindi sia la statuaria che la decorazione, nei più svariati ambiti, dal sacro al profano. Non si può non considerare che una tale diffusione di questa poetica porti anche alla propagazione di un metodo di lavoro, dall’idea alla progettazione e alla modalità di esecuzione dell’opera, che era assolutamente nuovo rispetto a quello michelangiolesco, fino ad allora corrente predominante, come opposto era il loro carattere: se il Buonarroti era insofferente ad ogni tipo di legame, soprattutto che si svolgesse in orizzonte di collaborazione, Bernini, oltre a essere uomo di corte e strettamente legato a più di un pontefice, “quasi sempre concepiva fin dall’inizio le sue opere maggiori come cosa da realizzare in "équipe" dalla sua impresa”.
Gli scultori lombardi, e soprattutto quelli che lavorano anche a Pavia, recepiscono perfettamente l’idea facendola propria, tanto che anche alla fabbrica del Duomo si vedranno molto spesso collaborazioni trasversali anche tra pittori, disegnatori e scultori, l’unione dei quali è pensata per rendere l’opera un insieme unico. Per giunta, l’aver frequentato e lavorato con Gian Lorenzo Bernini e/o presso l’Accademia di San Luca, influenza inevitabilmente il metodo di realizzazione, ma anche più semplicemente la concezione stessa della luce. Per fare un esempio, il Bussola, documentato a Milano nel 1645 in una lettera in cui offrì i suoi servigi alla Fabbriceria del Duomo, dichiara di aver perfezionato la propria tecnica artistica in quel di Roma dopo molto tempo in cantiere. È vero ciò se si osservano certe statue del Sacro Monte di Varese, che hanno in sé forme aggiornate e realiste, ma sono dilatate in senso scenografico tipicamente barocco, il quale amplifica sempre più il fine più immediato dato dal Concilio di Trento del trionfo del Cattolicesimo sulle eresie e la vittoria delle ufficialità propagandistiche. Anche nella statuaria milanese è presente questa tendenza ma non abbiamo la certezza sul fatto che lo stesso Bernini, con il suo trattato pubblicato nel 1654, intitolato Per la facciata del Duomo di Milano, in cui si registra un parere architettonico e scultoreo sul cantiere milanese e particolarmente in merito alla facciata, abbia o meno influenzato le scelte di realizzazione. Ciò che è certo è che parte dell’iconografia barocca è suggerita dalle numerose opere di Bernini: dinamiche ed espressive, con ampi panneggi.
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La decorazione delle cappelle laterali della Certosa di Pavia nel seicento: gli interventi scultorei
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Informazioni tesi
Autore: | Sabrina Merola |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lettere |
Relatore: | Maria Grazia Albertini Ottolenghi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 132 |
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