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Il diritto di esistere. Il popolo curdo e la cooperazione internazionale: il caso della Turchia.

Campi profughi ad Istanbul

La città di Istanbul è una delle principali sedi di accoglienza degli sfollati interni curdi. La sua periferia è stata, a lungo, residenza di vari campi profughi, poi, smantellati in seguito ad una legge contro le baraccopoli emanata nel 2007 dalla municipalità di Istanbul per abbellire la città.
Il campo profughi per eccellenza ad Istanbul era Ayazma, che nasceva nel quartiere storico di üçükçekmece, in una zona calcarea tra due fiumi, ormai, magri e nauseabondi.

Il campo non era altro che una distesa di macerie formato da 1.000 case bianche e baracche decadenti in cui vivevano 5.000 profughi (il 98% di origine curda), con fogne a cielo aperto. Le case di questo campo sono le cosiddette Gecekondu, che secondo l’antica tradizione ottomana non possono essere distrutte. In turco, la parola Gecekondu significa “nati in una notte”. Sono delle case abusive che secondo un’antica credenza popolare se costruite nell’arco di una notte garantirebbero ai loro proprietari il diritto di mantenerle senza poter essere sgomberati dalle autorità.

La condizione di vita che queste ospitano è disastrosa: al campo vivevano un numero molto elevato di famiglie curde scappate dai propri villaggi, soprattutto negli anni ’90, a causa delle continue persecuzioni delle forze di sicurezza. Essi vivevano in uno stato di totale miseria e povertà, soggetti a malattie di qualsiasi tipo e spesso senza assistenza medica poiché le difficoltà erano numerose, anche, per il rilascio della carta verde. Le difficoltà incontrate per il rilascio della tessera non erano tanto di carattere burocratico, quanto di carattere politico, legate all’identità dei soggetti.

I problemi sanitari, oltre che dalle fogne a cielo aperto erano causati dalla non potabilità dell’acqua. Infatti, non era sufficiente alla popolazione la fornitura d’acqua portata gratuitamente 2 volte al mese dai camion-cisterna dall’Amministrazione dell’acqua e canalizzazione di Istanbul (ISKI). Perciò, nonostante nella fontana fosse scritto “acqua non potabile”, più volte al giorno le donne facevano la fila per l’approvvigionamento necessario. Questa fonte d’acqua proveniva dai ruscelli vicini al campo e, per questo motivo, era soggetta alla secca estiva.

Le principali vittime di quest’acqua infetta erano i bambini e le cause più frequenti di morte infantile, oltre alla dissenteria, erano il tifo e la polmonite. Per questo motivo sulla collina del campo di Ayazma è stato creato un cimitero dedicato ai piccoli deceduti. Questo rappresenta la prova dell’alta percentuale di mortalità infantile in un campo di sfollati interni come Ayazma, non diverso dagli altri campi sparsi per il paese.

La percentuale di disoccupazione elevatissima costringeva, spesso, uomini e bambini a compiere crimini per sopravvivere oppure a svolgere dei lavori temporanei nell’edilizia e nelle fabbriche tessili alimentando il mercato nero. La situazione è stata resa, ancora, più insopportabile dall’emanazione della legge contro le baraccopoli del febbraio 2007. La legge si poneva come obiettivo l’abbellimento della città di Istanbul. Il piano di riqualificazione urbanistica prevedeva l’abbattimento delle baraccopoli dei campi profughi delle periferie, poiché, la zona doveva essere riqualificata per far posto a centri residenziali destinati ai cittadini turchi.

Queste aree riservate ai Gecekondu venivano, inoltre, considerate vere e proprie riserve di criminalità e sovversione e centri di potere deviato all’interno dei quali vige l’illegalità e il dissenso verso le istituzioni. In realtà questi spazi, per quanto fossero caratterizzati dalla precarietà sanitaria, abitativa e occupazionale, riproducevano lo stile di vita comunitario basato su un’economia di tipo agricolo, sull’allevamento e le piccole produzioni artigianali.

Il governo ha offerto un’alternativa praticamente irrealizzabile per la gran parte di queste famiglie. Essa consisteva nella possibilità di acquistare dei piccoli appartamenti, molto costosi (fino a 57 milioni delle vecchie lire turche a fronte di un valore reale di 37 milioni) in enormi grattacieli di cemento armato, costruiti con i finanziamenti dell’UE e della Banca Mondiale. Per un popolo che ha sempre vissuto di pastorizia ed agricoltura, tutto ciò significava vedere spersonalizzata qualsiasi appartenenza e qualsiasi identità curda.

Andare a vivere in questi quartieri di cemento armato significava oltre alla spersonalizzazione della cultura curda, un’ulteriore sottoposizione alle nuove guardie di villaggio istituite e al governo di Ankara. Molti hanno, però, accettato la proposta del governo e sono stati trasferiti in un nuovo quartiere detto “quartiere delle torri” composto da 52 palazzoni di dodici piani l’uno che rappresenta nient’altro che il nuovo ghetto curdo. Queste famiglie devono pagare un affitto mensile di 135 euro, una tariffa agevolata, secondo il governo, per ricompensarli di tutto ciò che hanno perso. Ma è, comunque, una tariffa impossibile per coloro che non trovano un lavoro stabile.
A partire dal 2007 il governo di Ankara ha inviato lettere di diffida invitando tutti gli abitanti a lasciare in maniera volontaria e pacifica il campo di Ayazma. Ma gli abitanti del villaggio con l’aiuto del Göç-Der hanno istituito un comitato per la difesa del campo che chiede di mantenere l’unità.

Nonostante l’arrivo delle ruspe già nel 2007, molti abitanti del campo erano ancora nei dintorni l’anno successivo, quando le ultime 18 famiglie rimaste sono state sgomberate con la forza a causa dell’arrivo dei bulldozer. Questi hanno demolito totalmente il campo non lasciando neanche cartone e tavole per poter ricostruire come si era già fatto in passato.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il diritto di esistere. Il popolo curdo e la cooperazione internazionale: il caso della Turchia.

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Informazioni tesi

  Autore: Simona Deidda
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Nicola Melis
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 118

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