I rapporti tra sanzioni amministrative tributarie e penali tributarie - La problematica del ''Ne Bis in Idem''
Brevi cenni sul principio del "ne bis in idem"
Come anticipato nell’introduzione del presente elaborato, nei precedenti capitoli sono stati forniti al lettore gli strumenti necessari alla ricostruzione del quadro normativo che regola la materia del sistema sanzionatorio tributario italiano.
La trattazione, infatti, ha infatti preso le mosse da una sintetica descrizione dei concetti di illecito e sanzione necessari per comprendere il nuovo orientamento che si sta affermando nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo in materia di “ne bis in idem”.
Tradotta letteralmente quest’ultima significa “divieto di fare due volte la stessa cosa che riguarda la medesima questione”, principio di diritto che si impose fin dall’età più antica del diritto romano e precisamente già al tempo delle legis actiones.
Sin dal periodo arcaico del diritto romano, il principio in esame elaborato dal celebre giurista romano Gaio e poi sintetizzato con la massima: “bis de eadem re ne sit actio” tradotto “non sia ammessa azione due volte per lo stesso rapporto”, si andò affermando nel significato che un diritto una volta dedotto in giudizio, quantunque non ancora giunto a decisione, non poteva costituire oggetto di un nuovo procedimento.
Questo può essere considerato espressione classica dello stadio di civiltà giuridica dei paesi in cui il principio è affermato, in quanto nei sistemi giuridici di tipo inquisitorio il giudizio è sempre considerato come perfettibile, ed in quanto tale la decisione presa è modificabile all’infinito.
L’applicazione di questo principio in campo penale fa sì che, un soggetto già condannato o prosciolto in un precedente giudizio non possa essere giudicato una seconda volta per lo stesso fatto, e le ragioni giustificative di tale applicazione possono essere riassunte come segue:
- Impedire che un cittadino possa essere esposto indefinitamente alle vessazioni da parte del sistema giudiziario;
- Nel rapporto processuale, se è pur vero che le posizioni di accusa e difesa risultano su un piano paritetico, è un dato di fatto che l’amministrazione statale della giustizia dispone di mezzi economici e poteri di persecuzione maggiori del singolo;
- Storicamente la mancanza di garanzie circa l’esposizione alla pubblica accusa in assenza di qualsivoglia tipo di garanzia, è stata sempre utilizzata come strumento di tirannia;
- L’applicazione di tale principio contribuisce a conferire certezza al cosa giudicato ed al sistema giuridico di un paese.
In alcuni paesi, il principio del ne bis in idem è stato esplicitamente codificato all’interno del carta costituzionale, al contrario di quanto accaduto in Italia in cui lo stesso è stato accolto nel sistema processuale penale a seguito del suo inserimento inizialmente all’interno del codice di rito del Regno di Italia, per poi confluire nell’attuale formulazione del codice di procedura penale.
In particolare l’art. 649, comma 1°, del c.p.p. stabilisce che: ” L'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345.
Dalla lettura dell’art. 649 insorge immediatamente il dubbio, relativamente all’operatività del divieto in esame, nei casi in cui i due procedimenti si fondino su ciò che effettivamente può essere considerato “il medesimo fatto”.
Circa il reale significato della norma esaminata la dottrina si è più volte interrogata, orientandosi alla fine maggioritariamente intendendola come “la semplice condotta che ha causato l’evento”.
Se però, ad un esame sommario, la spiegazione fornita dalla dottrina prevalente risulta essere esaustiva del significato da attribuire alla locuzione “medesimo fatto”, questa mal si concilia con le ipotesi di reato complesso che consta del concorso di più reati autonomi.
Come caso di scuola potremmo prendere ad esempio il reato di rapina, che è l’insieme del furto con la violenza privata e, al fine dell’applicabilità o meno del principio del ne bis in idem, occorrerà effettuare la valutazione se il giudizio è stato compiuto sul reato complesso, ipotesi che precluderebbe qualunque altro giudizio, o su uno dei reati autonomi che lo compongono, che contrariamente lascerebbe aperta la possibilità di procedere con un ulteriore giudizio sul secondo dei reati autonomi che lo compongono.
Ora, senza perdersi in disquisizioni dottrinali sulla materia processuale penalistica, per ciò che attiene al presente studio, bisogna concentrarsi sulle fonti nazionali e sovranazionali che disciplinano il principio del ne bis in idem al fine di comprenderne la reale portata generale.
Preliminarmente occorre precisare che, in ambito interno la norma contenente il principio del divieto del doppio processo non è inserita in un testo normativo di rango Costituzionale.
Tale circostanza potrebbe condurre un lettore non avvezzo alle materie giuridiche a determinare che, in presenza di un esplicito richiamo all’obbligatorietà dell’azione penale previsto dall’art. 112 della Costituzione Repubblicana, la portata del testo del sopra citato art. 649 del c.p.p. risulti soccombente ad una norma di rango superiore.
Al riguardo, la Corte di Cassazione, intervenuta più volte sulla materia, si è chiaramente espressa stabilendo che: “E’ evidente, inoltre, che un sistema che non riconoscesse al divieto del bis in idem il carattere di principio generale dell’ordinamento potrebbe dischiudere la via a prassi anomale ed a condotte qualificabili come vero e proprio “abuso del processo”, perché idonee a vulnerare la regola dell’immediatezza e della concentrazione della formazione della prova in contraddittorio, rendendo possibile un uso strumentale del potere di azione per finalità inconciliabili con la legalità e l’ordine processuali.”.
In ambito sovranazionale, precisamente in ambito Europeo, il principio del ne bis in idem viene cristallizzato per la prima volta con l’art. 4 del Protocollo 7 allegato alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, sottoscritto a Strasburgo il 22 novembre 1984, il quale recita al comma 1° che: “Nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un’infrazione per cui è già stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge ed alla procedura penale di tale Stato.”.
Dello stesso tenore è l’art. 54 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, che amplia la portata del principio del ne bis in idem estendendolo a tutti gli allora stati contraenti del citato accordo, in modo da evitare duplicazioni di procedimenti in stati differenti.
Nel successivo processo di unificazione e di ampliamento degli stati dell’Unione Europea, questo principio di diritto diviene infine diritto fondamentale del cittadino europeo solo con l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali4, siglata a Nizza il 7 dicembre del 2000.
Questo brano è tratto dalla tesi:
I rapporti tra sanzioni amministrative tributarie e penali tributarie - La problematica del ''Ne Bis in Idem''
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Informazioni tesi
Autore: | Nuccio Daniele Macri |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2015-16 |
Università: | UniCusano - Università degli Studi Niccolò Cusano |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Carla Lollio |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 118 |
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