Adolescenze difficili. La comunità residenziale come mediatore ed elaboratore dell’esperienza
Antisocialità: definizione e caratteri generali
Il comportamento antisociale, nonostante i grandi sforzi per affrontare il problema, è molto diffuso: circa il 20% della popolazione del mondo sviluppato ne rimane vittima. Per antisocialità si intendono atti di violenza o comportamenti illegali, con cui vengono violati i diritti e la sicurezza (anche psicologica) degli altri.
Gli studi hanno individuato e confermato alcune caratteristiche ricorrenti nella popolazione di antisociali, quali: l'eterogeneità dei quadri fenomenologici antisociali, l'elevata concentrazione intrafamiliare (dovuta probabilmente sia dall'influenza genetica sia dalla trasmissibilità sociale), l'influenza della dotazione temperamentale, il processo interattivo tra geni e ambiente, la forte continuità tra comportamenti antisociali in infanzia e in età adulta, la precocità di esordio della condotta deviante, le variazioni di prevalenza tra età diverse (maggiore è l'età, minore è la prevalenza), il rapporto maschi/femmine di 4:1, l'indipendenza della prevalenza dal gruppo etnico di appartenenza, l'associazione tra antisocialità e fattori come la familiarità di storie criminali, l'abuso di sostanze, la disgregazione sociale.
Inoltre, studi condotti in diverse zone del mondo concordano nell'individuare quattro sottogruppi: un quadro stabile di comportamento antisociale, dall'infanzia all'età adulta (life-course persistent), un quadro che inizia in adolescenza e desiste in età adulta (adolescence limited), un quadro intermittente in diverse fasi della vita (intermittent offenders) e un quadro che esordisce in età adulta.
Gli specialisti che hanno indagato sul fenomeno e ipotizzato teorie e interventi sono i criminologi, i clinici della salute mentale e i ricercatori sulla psicologia della personalità.
I primi definiscono l'antisocialità come azioni e comportamenti contro la legge, e utilizzano il termine "delinquenti" per riferirsi ai giovani antisociali, mentre per "criminali" intendono gli adulti.
Anche i clinici della salute mentale distinguono due categorie diagnostiche: si parla di "disturbo della condotta" per i giovani, di "disturbo antisociale di personalità" per gli adulti. Questi studiosi definiscono l'antisocialità come psicopatologia e disturbo mentale, quindi come comportamenti particolarmente dannosi per gli altri e persistenti in un certo periodo di tempo.
Gli psicologi della personalità, più interessati alla ricerca empirica fondate su studi longitudinali, intendono l'aggressività come un dato costitutivo del funzionamento umano, presente da sempre e ovunque, che tuttavia non viene sempre espresso; il comportamento antisociale viene considerato come un tratto normalmente distribuito, misurabile come parte di variazione dello spettro normale.
La differenza più rilevante tra clinici della salute mentale e psicologi della personalità sta nel fatto che i primi utilizzano un approccio categoriale, i secondi fanno riferimento a un approccio dimensionale: mentre le categorie implicano una discontinuità tra norma e patologia, le dimensioni presuppongono una continuità, un continuum naturale tra normalità e patologia.
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Adolescenze difficili. La comunità residenziale come mediatore ed elaboratore dell’esperienza
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Informazioni tesi
Autore: | Valentina Brambilla |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi di Milano - Bicocca |
Facoltà: | Scienze dell'Educazione |
Corso: | Scienze dell'educazione e della formazione |
Relatore: | Pierangelo Barone |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 72 |
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