La sociologia come forma d'arte
Analisi di 'La sociologia come forma d'arte'
Dopo aver analizzato concetti fondamentali alla base della sociologia nisbettiana, concentriamo la nostra attenzione sulla sua opera "La sociologia come forma d'arte" di centrale importanza per le riflessioni che ci apprestiamo a fare. Nisbet ha espresso In questo libro un'idea tanto semplice quanto originale, e per taluni paradossale: la sociologia - quella vera - è una forma d'arte, perché nei suoi procedimenti scientifici segue criteri molto simili a quelli che guidano l'opera creativa di un artista. E' un'opera sicuramente particolare, in quanto il contenuto è condivisibile come no, ma è sicuramente ricca di idee originali, idee che costringono a riflettere e rimettere quasi in discussione le stesse basi metodologiche del lavoro scientifico del sociologo.
Innegabile è, infatti, la profilassi di Nisbet non contro la scienza, ma contro lo scientismo, ossia la scienza praticata senza lo spirito della scoperta e della creazione. I punti di contatto tra arte e sociologia sono molteplici: i temi ai quali si ispira l'opera nell'uno e nell'altro campo (comunità, masse, potere, sviluppo, progresso, alienazione, conflitto, ecc.), ritratti ed paesaggi costruiti da entrambe e le motivazioni dello scienziato e dell'artista soprattutto nell'uso dell'immaginazione che sta alla radice della creatività (come nell'artista il capolavoro nasce dal fecondo connubio dell'immaginazione creativa con l'attenta osservazione della realtà esponenziale, così il sociologo scienziato produce teorie e interpretazioni valide soltanto se non si riduce a schedare o registrare i dati grezzi ricavati dall'osservazione, ma sa organizzarli in base ad uno schema, il quale è sempre frutto dell'immaginazione creativa).
Una delle difficoltà metodologiche principali che hanno in comune, sia l'artista che il sociologo, consiste nell'ottenere dalle strutture e dal tipi un'espressione di movimento, di divenire, di vita; un po' in tutte le aree intellettuali si manifesta questa stessa tendenza, nelle filosofia, nell'architettura, nella letteratura.
Lo sforzo dell'arista tutto teso alla ricerca di forme con cui dare espressione al movimento e bandire il fisso e l'inerte simile alla passione del sociologo per la dinamica manifesta soprattutto nella prospettiva dell'evoluzione e dello sviluppo che domina nel diciannovesimo secolo. Parliamo di sforzo perché per quanto lo scienziato provi, ciò che avrà è "l'illusione del movimento"; il cambiamento non viene reso seguendo l'evoluzione biologica, basata su prove scientifiche e sull'osservazione diretta dei processi genetici del cambiamento ma attraverso il tentativo di comporre in sequenze ritmiche e di solito lineari un panorama, un vasto panorama in cui si esibiscono innumerevoli tipi e forme (l'umanità, la società, la cultura). Lo stesso Comte in La filosofia positiva quando si occupa dello sviluppo progressivo della conoscenza che si realizza in tre stadi (religioso, metafisico, positivo), non fa altro che schierare una serie di popoli nel tempo e nello spazio.
Il sociologo rappresenta il movimento in modo differente, attraverso cioè il diorama, letteralmente esso indica una scena, di solito in miniatura, che viene riprodotta in tre dimensioni ponendo gli oggetti, le figure, ecc., davanti ad uno sfondo dipinto. Può essere il capitalismo, e ciò vale per Marx; oppure la razionalizzazione, come Weber chiamava ciò che intendeva caratterizzare, ogni entità tuttavia è trattata alla luce di uno sfondo di realtà storica più ampio, concepito nei termini di un particolare tema-cardine.
Il Capitale di Marx, per esempio è un diorama, completo di figure, ossia gli operai e i capitalisti, e di costrutti, ossia fabbriche e uffici, e da questo diorama scaturisce per il lettore quel senso di movimento e di divenire che ricaviamo dallo scultore che lavora su un blocco di marmo o dal pittore che lavora alla sua tela con pennelli e colori ad olio; allo stesso modo, la trattazione della burocrazia fatta da Weber nella vita moderna è un diorama. Dietro ognuno dl questi diorami si può vedere un vasto scenario, cioè una filosofia della storia capace di coprire molti secoli.
Il diorama marxiano ci dà una scena composta da operai sfruttati e capitalisti sfruttatori, dal feticismo delle merci, dal valore creato soltanto dal lavoro con un'evitabile plusvalore che è il risultato dell'incapacità degli operai di ricomprare quanto essi producono, dall'ineluttabile crescita del proletariato e della concentrazione del capitale e, a dare dinamismo a tutto l'ambiente, da un inestirpabile conflitto fra le due grandi classi, operai e capitalisti.
A differenza di tutti gli altri economisti dell'Ottocento che vedevano nel sistema capitalistico qualcosa dl positivo, Marx ne colse invece l'estrema negativa; con occhio da artista, lanciò uno sguardo sull'insieme infinitamente diverso dei negozi, uffici, fabbriche, stabilimenti, fattorie e possedimenti fondiari del suo tempo e vide una sola cosa: l'incessante e inestinguibile conflitto tra le due grandi classi incapsulanti la borghesia e Il proletariato, conflitto che nasce dal profitto essendo questo basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione.
Sotto Il sistema del profitto è impossibile per la classe operaia ricevere nulla più di un salario di sussistenza, giacché è la stessa concorrenza per il lavoro scatenata all'interno di questa classe ad assicurare tale pressione sui salari. Ecco perché con il sistema del profitto si ha un plusvalore, cioè il surplus lasciato nei beni prodotti e che i salari di sussistenza sono incapaci di acquistare. Di qui, afferma Marx, una tendenza innata nel capitalismo a vivere tra contraddizioni e conflitti. Le contraddizioni nascono dalla proprietà privata e dal profitto accumulato, il capitale continua costantemente a concentrarsi sempre più in poche mani, la proletarizzazione dell'ordine sociale avanza in maniera inesorabile e la conseguenza necessaria di tutto questo dinamismo intrinsecamente connesso alla struttura del capitalismo è la rivoluzione nei Paesi a più alto sviluppo industriale, una rivoluzione che sarà seguita dalla dittatura del proletariato e poi dalla società senza classi dal socialismo.
Queste percezioni sono tanto vive e intense quanto lo sono quelle rinvenibili nella letteratura e nell'arte ottocentesche di un romanzo di Zola o di uno schizzo di Dallmier .
Anche nel diorama di Weber della razionalizzazione, come abbiamo accennato precedentemente si può individuare uno sfondo rappresentante la scena burocratico-razionale che lo circondava; egli vide vaste sfere della vita umana, dalla musica alla politica pervase da un particolare movimento, che le portava a schiudersi alla razionalità o, per meglio dire, all'assoggettamento a processi strutturali razionalistici.
Fondamentalmente, la razionalizzazione è nel senso weberiano della parola, l'imposizione di rigorosi criteri mezzo-scopo non solo al pensiero stesso, ma all'arte, alla scienza, alla cultura, al governo, alla guerra e perfino alla religione. Essa implica l'esclusione dal pensiero o dall'azione di tutto ciò che è puramente tradizionale, carismatico o ritualistico, in breve, di tutto ciò che non è direttamente collegato ai mezzi necessari all'efficiente realizzazione di un dato fine.
Weber, afferma Nisbet, arrivò a credere che dal tardo Medioevo in poi aree sempre più ampie della cultura occidentale, il governo, la finanza, l'industria, l'istruzione, la religione, l'esercito e tutte le altre sfere della vita umana venissero sottoposte ai canoni della razionalizzazione attraverso la sostituzione dei principi di carattere religioso, tradizionale e popolare con principi razionali, formali e logici.
Perfino nella musica si può vedere operante il principio della razionalizzazione nella transizione dal fraseggio, dalle linee melodiche e dalle strutture armoniche dell'Europa medioevale o dell'inizio dell'età moderna a quelle della musica dei grandi compositori quali Mozart, Beethoven e Berlioz.
Questo brano è tratto dalla tesi:
La sociologia come forma d'arte
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Informazioni tesi
Autore: | Gabriella D'Angelo |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi di Salerno |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Sociologia |
Relatore: | Massimo Rosati |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 153 |
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