Blue Ocean Strategy: il caso Morellato
Analisi del settore del gioiello
Verso la fine degli anni ’90, il mercato del gioiello e più in generale il settore orafo, poteva essere considerato prossimo alla fase di maturità: la domanda era satura per cui non si intravedevano ulteriori spazi di crescita.
Era un mercato contraddistinto da una forte competizione basata sull’offerta di prodotti in cui la differenza era fatta dal valore delle materie prime utilizzate. Da tale valore si partiva per la definizione del prezzo. Per cui le aziende con elevato potere contrattuale erano anche quelle che riuscivano a vendere il prodotto a condizioni economiche vantaggiose per il cliente, incrementando la quota di mercato. Un mercato così definito è senz’altro tinto di rosso. La gamma dei prodotti offerta era sostanzialmente omogenea e ciclica: a meno di alcune rivisitazioni dei prodotti, i modelli venivano riproposti di anno in anno.
Non è difficile comprenderne il perché: il gioiello è sempre stato considerato un oggetto duraturo, identificativo di un particolare status, emblema di ostentazione, prestigio, raffinatezza e rarità. L’acquisto del gioiello era legato esclusivamente a ricorrenze particolari e il consumatore non si dimostrava sensibile all’introduzione di innovazioni (Cappellari; Carraro; Grandinetti, 2007). Non era il contenuto creativo del gioiello che faceva la differenza. La differenza piuttosto era fatta dalla qualità della materia prima e dal modo in cui questa si poteva far “notare”.
Il mercato, per questi motivi, era caratterizzato da una ridottissima differenziazione, sia per quanto riguarda prodotti di fascia alta, che prodotti di fascia medio-bassa. Questo spiega anche la presenza di prodotti unbranded (Cappellari; Carraro; Grandinetti, 2007). La distribuzione coerentemente rifletteva le peculiarità del prodotto. Era basata sul canale indiretto e con una struttura molto frammentata: in Italia si contavano circa 25000 di punti vendita.
Per la maggior parte erano gestiti da famiglie e giocavano un ruolo fondamentale per quanto riguarda le scelte dei consumatori finali: la scelta del prodotto da acquistare era fortemente veicolata dal consiglio del gioielliere di fiducia. Questo spiega in parte la quasi totale mancanza di investimenti in comunicazione da parte dei produttori di gioielli i quali, per ottenere un vantaggio competitivo, dovevano puntare una relazione duratura e fiduciosa con i gioiellieri caratterizzati da un forte potere contrattuale.
Partendo dalle caratteristiche del mercato del gioiello alla fine degli anni ’90, siamo in grado di ricostruire il cosiddetto quadro strategico (come anticipato), per avere una fotografica dello spazio di mercato conosciuto sulla base del modello proposto nell’approccio Blue Ocean.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Blue Ocean Strategy: il caso Morellato
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Informazioni tesi
Autore: | Francesco Micaletti |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia aziendale e management |
Relatore: | Irene Dagnino |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 35 |
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