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Il montatore come quinto autore

Analisi del cambiamento della figura del regista durante la New Hollywood

Analizzando l’identità dei nuovi registi degli anni ’60, essi possono essere suddivisi in più gruppi: gli artefici del cambiamento; i cineasti esponenti del Nuovo Cinema Americano, che hanno esplorato e messo in luce in modo diretta le nuove inquietudini; gli europei ad Hollywood; ed infine i protagonisti della nuova ondata, ovvero coloro che si sono messi in luce dalla metà degli anni ’70 in poi.
Lo studioso Franco La Polla ha distinto tre “ondate” di cineasti, la prima delle quali riguarda i registi che arrivarono al cinema nei tardi anni ’50 e che provenivano dalla live tv (come Sidney Lumet, Robert Mulligan, John Frankenheimer); la seconda a metà anni ’60 riguarda i registi provenienti dal cinema televisivo (come Sydney Pollack, Robert Altman, Stuart Rosenberg); ed infine la terza ondata riguarda i cosiddetti movie brats, letteralmente “i ragazzini del cinema”. Questo termine indicava il movimento formato da cinque amici che negli anni Settanta si sono ritrovati con la passione del cinema e il desiderio di rifondarlo dalle radici. Erano Steven Spielberg, Francis Ford Coppola, George Lucas, Brian De Palma e Martin Scorsese.

La “nuova ondata” arrivò negli Stati Uniti senza preavviso. Questi registi, influenzati dai classici hollywoodiani del passato e sedotti dalla novità linguistica ed espressiva del cinema europeo degli anni ’50-’60, hanno cambiato completamente la storia di Hollywood. Il gruppo di questi principali artefici del cambiamento è molto variegato: molti di loro hanno esordito tra la metà degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 (vedi Paul Schrader, Steven Spielberg e George Lucas); altri hanno invece iniziato il decennio precedente per poi realizzare alcuni dei loro film più significativi e famosi proprio in questo periodo (vedi Arthur Penn, Sam Peckinpah e Robert Altman). Oltre che per l’età, essi si distinguono fra loro anche per le diverse provenienze: alcuni di loro prima del cinema sono passati per la televisione o il teatro a Broadway, altri sono passati dalla critica cinematografica alla regia – seguendo i registi della Nouvelle Vague – e altri ancora hanno studiato cinema all’università, come Francis Ford Coppola e Martin Scorsese. Riassumendo potremmo dire che «in tutto questo gruppo si fondono conoscenza (della storia e della tecnica del cinema), passione, sperimentazione pratica e frequentazione del set». Una figura-chiave per quasi tutti i registi della New Hollywood è sicuramente Roger Corman che, con la sua factory, ha permesso loro di avvicinarsi direttamente al cinema e senza il quale molti di loro probabilmente non avrebbero avuto modo di farlo.

Moltissime furono le cause che spinsero molti europei (cineasti, direttori della fotografia, attori, sceneggiatori, scenografi) a tentare la strada di Hollywood. Tra queste, oltre le vantaggiose condizioni economiche, troviamo il drammatico mutamento della situazione politica nei paesi d’origine, come nel caso dei tedeschi emigrati negli anni Trenta all’avvento nel nazismo e nel caso di francesi e inglesi allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Esempi a tal proposito sono costituiti da figure iconiche come Fritz Lang, Alfred Hitchcock, Jean Renoir e Billy Wilder. «Nella prima metà degli anni ’60 l’Europa, eretto il muro di Berlino e divisa in due blocchi contrapposti (USA contro URSS), vive in concomitanza con la crisi di Hollywood una rinascita delle cinematografie nazionali all’insegna del rinnovamento e della ricostruzione di un’identità». Infatti, nel blocco occidentale tali spinte alimentarono le varie Nouvelles vagues che ridisegnarono il profilo delle varie cinematografie nazionali; mentre in quello sovietico esse si scontrarono con la rigidità culturale dell’apparato burocratico, in particolare in quelle regioni poste lungo la linea di confine e di conseguenza più permeabili. Proprio da lì «una generazione di giovani cineasti si smarca dalle rispettive tradizioni nazionali, [… ] e tenta nuove strade di aperta critica». A Hollywood in quel periodo non si arrivava solo come esuli, infatti anche lì tirava aria di rivoluzione e non c’era nulla strano se autori già affermati volessero approfittare della possibilità di realizzare film “d’autore”, magari politicamente impegnati, per gli studios.

Se alcuni dei registi che hanno iniziato ad emergere a partire dalla prima metà degli anni Sessanta in poi hanno proseguito la propria carriera anche dopo la New Hollywood, altri sono intimamente legati a quel periodo. Ciò non significa che la loro filmografia si sia fermata improvvisamente dopo che gli studios hanno ripreso pieno potere grazie al successo di Jaws (Lo squalo, Steven Spielberg, 1975); ma è chiaro che alcuni registi come Monte Hellman e Terrence Malick e, in minor misura, Richard Rush e Frank Perry erano considerati all’epoca come alcuni dei più importanti artefici del rinnovamento da cui ci si aspettava molto.
Monte Hellman è una delle figure più rappresentative e innovative della New Hollywood. Autore di due western pessimistici (Ride in the Whirlwind [Le colline blu, 1966] e The Shooting [La sparatoria, 1967] e un road-movie diventato cult (Two-Lane Blacktop [Strada a doppia corsia, 1971]) sembravano averlo lanciato verso una carriera di straordinario successo e invece le cose sono andate diversamente. Il suo stile sottratto e la sua predisposizione per temi quali la violenza illogica, la spersonalizzazione e perdita di identità dei personaggi ebbero una grande influenza in registi successivi come Quentin Tarantino. Anche Hellman ha un rapporto diretto con Roger Corman, grazie al quale riesce a debuttare come regista con un horror a basso costo.
Terrence Malick rappresenta un altro esempio di cineasta fuori dalle regole, dirige due film leggendari e rivoluzionari negli anni ’70 e resta in attivo per ventuno anni, prima di dirigere The Thin Red Line (La sottile linea rossa, 1998), seguito da The New World (Id., 2005). E come affermato da Simone Emiliani e Carlo Altinier «forse Malick è un regista entrato nel mito proprio perché maledetto, proprio perché il suo cinema, al culmine della bellezza smette improvvisamente di respirare, per poi riprendere quota quasi fosse resuscitato all’improvviso o fosse uscito da una volontaria ibernazione».

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il montatore come quinto autore

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Informazioni tesi

  Autore: Asia Ghezzi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo
  Corso: Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Ilaria Antonella De Pascalis
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 118

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