Strutture metriche e ritmo narrativo nella prosa di Silvio D'Arzo
Altre cadenze ritmiche nella prosa darziana
La marcatura ritmica nella prosa di D'Arzo non è presente soltanto nelle forme metriche riscontrabili all'interno del testo. Il lettore avverte infatti, nell'universo della narrazione, anche un altro genere di cadenza, non più legata alle forme della poesia, ma bensì alla sintassi della prosa e alla gerarchia enunciativa dell'intreccio.
Il dettato di Casa d'altri, fin dalla scena iniziale, si presenta denso di indizi che il lettore ha il compito di decifrare: tali indizi si ripropongono con una cadenza ritmica ossessiva, in un tempo in cui «tutto ciò che accade si ripete, ed è difficile trovare parole che abbiano sapore di vero o di nuovo». La prima scena è infatti raccontata in cifra, come un enigma, da una voce che non si presenta immediatamente: solo a poco a poco il lettore scoprirà che quell' “io” che narra è un reverendo e che si tratta di uno dei protagonisti della storia.
Questa voce, tuttavia, nel doppio ruolo di narratore e personaggio, è sentita lontana dal lettore proprio a causa dello stesso ritmo che essa imprime alla storia che racconta: un ritmo nel quale il narratore è avvertito come «un rapsodo, che contempla dal fuori del tempo l'accadere inevitabile degli eventi, senza abbandonare mai, nemmeno per un momento, il proprio punto di vista». Il lettore, attraverso le cadenze ritmiche degli indizi disseminati nel testo, è dunque chiamato a risolvere i diversi enigmi che si celano dietro l'intreccio della narrazione. Già dalla prima scena, infatti, il testo non fornisce che sintomi di quella che il lettore, alla fine del capitolo, scoprirà essere una veglia funebre: Mai assistito a una lezione di anatomia? Bene. La stessa cosa per noi in un certo senso.
Dentro il cerchio rossastro del moccolo, tutto quel che si poteva vedere erano le nostre sei facce, attaccate una all'altra come davanti a un presepio, e quel saccone di foglie nel mezzo, e un pezzo di muro annerito dal fumo e una trave annerita anche più. Tutto il resto era buio. Tuttavia il ritmo della prosa darziana non è dovuto soltanto alla cadenza degli indizi che il narratore dissemina nel racconto: come già notava Eugenio Montale, infatti, la stessa struttura della trama «si avvale di effetti di ritmo […], di pause […] e di un uso sapiente della cosidetta durata» che conferiscono ai singoli episodi significati riflessi e sottili nessi evocativi. La vicenda del prete e Zelinda è infatti intrecciata con episodi, per così dire, laterali (il colloquio col giovane prete pieno di zelo, la scena del sarto, dei vecchi dei “maggi”, delle Figlie di Maria) che, caricando di significati la trama vera e propria del racconto, rallentano lo svolgimento della narrazione.
Queste scene ritardanti, che sembrerebbero giustapposte o parallele al racconto e slegate dalla vicenda, preparano invece ai fatti principali del testo che si riducono, come notava lo stesso D'Arzo in una lettera a Cecchi del'50, «agli incontri per lo più visivi tra due figure di vecchi in un povero paese di montagna».
Questo brano è tratto dalla tesi:
Strutture metriche e ritmo narrativo nella prosa di Silvio D'Arzo
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Informazioni tesi
Autore: | Alessia Bombardieri |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lettere |
Relatore: | Fabrizio Frasnedi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 64 |
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