Le emozioni senza voce: alessitimia, disturbi del comportamento alimentare e dipendenze patologiche
Alessitimia e sviluppo emotivo
L’emozione è una risposta biologica e psicologica specifica, data da un evento elicitante che catalizza l’attenzione, gli interessi e le motivazioni del soggetto verso uno o più scopi. Si tratta di un fenomeno complesso che coinvolge tanto il sistema nervoso, quanto il comportamento e il vissuto individuale.
La competenza nell’uso delle emozioni come strategie relazionali è raggiungibile solo mediante un lungo processo evolutivo.
L’alessitimia può essere definita, in termini psicologici, come un esito atipico di tale processo di sviluppo emotivo, il quale, nella normalità dei casi, comporta il raggiungimento di una certa abilità nota come “Intelligenza Emotiva”.
Secondo il modello proposto da Salovey e Mayer (1990), è possibile definire l’Intelligenza Emotiva come l’insieme delle seguenti capacità:
1) abilità di percepire, valutare ed esprimere un’emozione;
2) abilità di accedere alle emozioni e suscitarle volontariamente quando
esse possono fungere da fattori facilitanti per la cognizione;
3) abilità a comprendere l’emozione provata in un dato momento;
4) abilità a regolare l’emozione in maniera consapevole;
Quest’ultima caratteristica fa immediatamente riferimento ad un aspetto cruciale dell’Intelligenza Emotiva, la regolazione emotiva, che risulta carente nei soggetti alessitimici.
Gli studi attuali, infatti, hanno chiarito in modo definitivo che l’alessitimia non può più essere intesa come mancanza di emozioni, bensì come disturbo che attiene alle problematiche inerenti la disregolazione emotiva.
Il soggetto alessitimico non è affatto privo di emozioni e sentimenti, ma è del tutto incapace di regolare l’espressione e dunque la verbalizzazione di tali vissuti.
L’emozione, dunque, ci predispone alla connessione con l’Altro, e contemporaneamente nasce all’interno delle relazioni significative.
Il potenziale emotivo innato che ci permette di entrare in contatto con l’ambiente già nei primi momenti di vita, richiede di essere gestito in modo funzionale attraverso l’acquisizione di specifiche strategie personali, eterodirette o autodirette, che possono essere apprese solo nella relazione con l’Altro, in primo luogo nell’interazione con l’adulto che si prende cura di lui.
In condizioni normali tale percorso avanza in direzione della verbalizzazione e della desomatizzazione delle risposte emotive, così da rendere possibile l’uso congruo degli affetti.
Per Caretti e colleghi (2005) “le emozioni sono esperienze soggettive che coinvolgono processi di attribuzione di significati e di interazione con l’ambiente. Le esperienze emotive […] costituiscono il nucleo centrale delle nostre vite mentali e delle nostre relazioni con gli altri. Nello sviluppo infantile, il caregiver e il bambino costruiscono insieme, sulla base delle loro vicende emotive e sensoriali, modalità regolatorie diadiche […] che avranno un destino importante nella vita psichica di entrambi”.
La capacità di regolare le proprie emozioni in relazione agli Altri, è sicuramente connessa alla qualità dell’esperienza d’attaccamento del bambino con le figure primarie, fortemente influenzata dalla capacità del care-giver di fornire cure adeguate.
Questo assunto ha rappresentato il punto di partenza per una nuova linea di ricerca che indaga la relazione tra legame d’attaccamento e costrutto alessitimico.
John Bowlby (1969/1980) elaborò la Teoria dell’Attaccamento (TdA), in cui postulava che gli esseri umani possiedono una predisposizione innata a formare relazioni di attaccamento con le figure genitoriali primarie, che tali relazioni di attaccamento abbiano la funzione di proteggere la persona attaccata, e che esse esistano in forma organizzata alla fine del primo anno di vita.
Ainsworth e coll. (Ainsworth et al., 1978), individuarono i seguenti pattern di attaccamento: insicuro-evitante (A), sicuro (B) e ansioso-resistente (C); Main e Solomon (1986) hanno successivamente indicato un ulteriore pattern definito “disorientato/disorganizzato” (D); i quattro pattern rappresentano altrettante modalità relazionali che caratterizzano le tipologie di relazione madre/bambino.
Ogni pattern affonda le proprie radici su specifici Modelli Operativi Interni (MOI) (Bowlby, 1973), ovvero quelle rappresentazioni mentali che hanno la funzione di veicolare la percezione e l’interpretazione degli eventi da parte del bambino e dell’adulto, e che comprendono un modello di sé, un modello dell’altro ed un modello di sé-con-l’altro (Liotti, 2001). Normalmente entro l’ottavo mese di vita, ogni bambino presenta un attaccamento ben strutturato e diretto verso una Figura di Attaccamento (FdA) preferenziale.
Lo stile di attaccamento che egli svilupperà dalla sua nascita in poi, dipende in grande misura dal modo in cui i genitori (o altri caregiver) lo trattano. L' alessitimia è risultata associata ad uno stile di attaccamento insicuroevitante, tipico del bambino che non piange al momento della separazione e tende ad evitare la figura di attaccamento al momento del ricongiungimento.
Il soggetto ha adottato la strategia di economizzare al massimo l’attività del sistema di attaccamento e di esprimere poco i propri bisogni per evitare risposte negative o inefficaci da parte della figura di accudimento. [...]
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Le emozioni senza voce: alessitimia, disturbi del comportamento alimentare e dipendenze patologiche
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Informazioni tesi
Autore: | Raffaella Attianese |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze e tecniche psicologiche |
Relatore: | Santa Parrello |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 65 |
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