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La costruzione e la decostruzione del genere: alcune riletture freudiane in chiave femminista e queer

Alcune interpretazioni freudiane e femministe su casi di omosessualità femminile

In questo paragrafo, verranno descritte e paragonate diverse opinioni inerenti all’omosessualità femminile. Si prenderanno in considerazione alcune prospettive di più filosofi e si farà riferimento in particolar modo a Freud, Beauvoir e ad altre femministe. Abbiamo già visto che per Freud l’omosessualità possedeva i caratteri di un’inversione, anche se egli non la considerò mai una malattia a tutti gli effetti. Nonostante ciò, però, l’omosessualità non veniva nemmeno considerata al pari dell’orientamento sessuale “normale”: l’eterosessualità. Per Freud, infatti, l’omosessualità rimase sempre uno svantaggio che in alcuni casi poteva essere curato e in altri casi, invece, non c’era proprio nulla da fare. Tutto ciò era variabile a seconda delle predisposizioni del soggetto in questione. Il dibattito inerente all’omosessualità sia maschile che femminile fu, quasi sempre e in genere, uno dei dibattiti più controversi specialmente quando si cercava di risalire a una potenziale causa dell’omosessualità. Anche se le teorie psicoanalitiche freudiane riuscirono, con il tempo, ad evolversi rimasero, per certi aspetti, sempre dibattute per la loro presunta oggettività. Molte, infatti, sono state le critiche femministe che furono rivolte a Freud ma anche ad altri analisti. Prima di esaminare tali critiche, vediamo in che modo Freud tratta e ci descrive l’omosessualità femminile. Già negli scritti inerenti alla sessualità femminile, avevamo osservato che la causa dell’omosessualità femminile era da ricercarsi nella cattiva esplicazione del complesso edipico e nell’ostinata accentuazione di un complesso di inferiorità e virilità. Altre cause potevano, invece, essere in correlazione con un logoramento dei rapporti con la madre o con un attaccamento quasi morboso con lei o ancora con dei sentimenti di collera provati nei confronti della figura paterna. Da questo, avevamo potuto dedurre che l’omosessualità non era, per Freud, innata e non era nemmeno un’inclinazione naturale bensì una sorta di nevrosi dovuta a un arresto dello sviluppo psicosessuale.
Prima di descrivere alcuni casi di omosessualità, sembra interessante notare in che modo Freud afferma che la bambina inizialmente non è né esclusivamente eterosessuale né omosessuale bensì è presente in lei una forte componente di bisessualità. Egli ci dice che «in primo luogo occorre riconoscere che la bisessualità, asserita presente nella disposizione di tutti gli esseri umani, vien fuori molto più chiaramente nella donna che nell’uomo». Mentre l’uomo possiede soltanto una zona erogena sessuale e un solo organo, la donna ne possiede due (vagina e clitoride) e proprio per questo motivo la bisessualità è molto più evidente nell’uomo che nella donna. La vagina sarebbe, dunque, l’organo femminile che indirizzerebbe la bambina a desiderare soggetti di sesso opposto e la clitoride sarebbe, invece, l’organo maschile che porterebbe la bambina al desiderio di donne e quindi all’omosessualità. In particolar modo, avevamo visto che l’omosessualità veniva fuori quando la bambina non accennava a staccarsi dalla masturbazione clitoridea per dare importanza alla vagina. È chiaro che una prima critica femminista era stata condotta da Koedt che, come abbiamo visto, aveva affermato che l’orgasmo vaginale era soltanto utile ai fini del piacere maschile ed era un mito costruito e inventato al fine di nascondere il piacere clitorideo che avrebbe potuto minacciare l’intero sistema dell’istituzione eterosessuale. Tornando alla riflessione sui casi di omosessualità femminile, nell’opera «Paranoia e omosessualità in due storie di donne», Freud ci descrive alcuni casi di omosessualità femminile offrendo una sua interpretazione e ricercando le eventuali cause dell’omosessualità di tali ragazze. In primo luogo, egli ci dice che, spesso, alcune ragazze omosessuali tendono a dimenticare o a non vedere la vera causa della loro omosessualità nascondendosi dietro a eventi negativi o traumatici che hanno vissuto con figure maschili e sviluppano, così, una sorta di odio nei confronti degli uomini.

Torniamo ora al fatto sorprendente che la malata si protegge dall’amore per un uomo avvalendosi di un delirio paranoico. La chiave per la comprensione di questo fenomeno ce la dà la storia evolutiva di questo delirio. In origine esso era diretto verso la donna, come potevamo aspettarci, ma poi, sul terreno della paranoia, è avvenuto un processo la parte di oggetto dalla donna è passata all’uomo. Nella paranoia tale evoluzione non è frequente; di regola accade che il perseguitato rimane fissato alle stesse persone, e quindi anche allo stesso sesso, che furono oggetto della sua scelta amorosa prima della metamorfosi paranoica.

Ecco che Freud descrive cosa prova la “malata” e come cerca di proteggersi dagli uomini che ritiene pericolosi. Egli afferma che la ragazza userebbe un delirio paranoico per sfuggire all’uomo. La ragazza, infatti, sentendosi perseguitata rimarrebbe fissata al desiderio di soggetti dello stesso sesso. Anche qui, notiamo come il rifiuto dell’uomo non è qualcosa di innato ma un rifiuto paranoico che affonda le sue radici in una fissazione. È, per l’analista, qualcosa di anormale. Dopo aver trattato ciò, vediamo adesso un caso specifico di omosessualità femminile che Freud ci descrive nella medesima opera. Nella sezione «Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile» (1920), Freud ci riporta la descrizione di una ragazza che ha suscitato preoccupazione nei genitori poiché si era innamorata di una signora che aveva dieci anni in più di lei. Dopo aver tentato il suicidio, la ragazza era stata portata dal medico che doveva “curarla”.

I genitori, infatti, e in particolar modo il padre, non accettavano l’omosessualità della figlia e desideravano ottenere una conversione. Il compito, riguardante la conversione di una delle varianti della sessualità nell’altra, spettava all’analista. A questo proposito, però, Freud ci dice che:

l’esperienza mi ha insegnato che l’adempimento di questo compito – l’eliminazione dell’inversione genitale o omosessualità – non è mai facile. Ho constatato al contrario che esso può essere assolto solo in circostanze particolarmente favorevoli, e anche in questi casi il successo è consistito essenzialmente nel far sì che la persona esclusivamente omosessuale ritrovasse l’accesso (che fino allora le era precluso) al sesso opposto, e cioè ripristinasse pienamente le sue funzioni bisessuali.

L’analista, infatti, aveva già precisato e specificato ai genitori della ragazza che non era garantito nessun successo circa la terapia di conversione. Successivamente, Freud ci narra il seguito della storia e il motivo per cui ella si era innamorata della signora. La ragazza non aveva fatto altro che identificarsi nella madre quando questa era incinta e aspettava il terzo figlio che sarebbe diventato poi il secondo fratello della bambina. Fu in quel momento che ebbe la sua prima grande delusione dal bambino che stava per nascere. In buona parte del testo, Freud continua ad affermare poi che la ragazza possedeva un complesso di mascolinità e non era per nulla disposta a restare indietro rispetto al fratello maschio. Inoltre, l’autore ci dice che ella poteva essere considerata una femminista che trovava ingiusto che le ragazze non potessero godere delle stesse libertà dei maschi e, dunque, ella si ribellava contro la sorte e il destino che le sarebbe spettato in quanto soggetto di sesso femminile. Sembra, quindi, che per Freud le donne dovrebbero accettare passivamente il loro ruolo di secondo piano e per diventare vere donne dovrebbero rinunciare al godimento di tutte le libertà e ai piaceri che spettano agli uomini.

Simone de Beauvoir contesta proprio questo assunto. Nel momento in cui ella cerca di liberare la donna, e in generale qualsiasi tipo di donna e quindi anche la lesbica, ci dice che pensare la donna relegata al “secondo” sesso sarebbe ingiusto. Non sarebbero tanto la natura o le caratteristiche fisiche della donna a farla sentire un essere biologicamente inferiore bensì l’inferiorità sarebbe unicamente un pregiudizio culturale imposto dalla società. Non solo per Beauvoir ma anche per altre femministe, anche l’omofobia stessa sarebbe stata socialmente imposta dagli uomini e affonderebbe le sue radici nel maschilismo e nel patriarcato. Pensare che la donna che non si sviluppa rimanga omosessuale rientrerebbe sempre all’interno della prospettiva eterocentrica di molti psicoanalisti che successivamente diverse femministe hanno criticato. Come Freud anche Simone de Beauvoir, nel «Secondo sesso», descrive alcuni casi di omosessualità femminile. Uno tra i più noti, ci dice la femminista, è sicuramente quello di “Sándor” (Sarolta) citato da Krafft-Ebing. A tal proposito, sappiamo che la ragazza era stata educata come un maschio dal padre e poi si era innamorata di una piccola inglese al collegio. Per gran parte della sua vita, ella pretese di essere un maschio, cambiò il suo nome e praticò sport e attività da “maschio”. Quando poi venne smascherata fu messa in prigione tanto che dovette scrivere alla sua amata dal carcere in cui si trovava. Beauvoir riporta questo caso di omosessualità femminile per sottolineare alcuni punti salienti della storia della ragazza. Ella ci dice che il pensarsi “uomo”, da parte della ragazza, poteva essere dovuto in parte all’educazione ricevuta e in parte alla sua costituzione fisica poiché ella non aveva un corpo molto femminile. Dall’interpretazione di Beauvoir, però, possiamo evincere che fu sicuramente l’influenza culturale del padre che si rivelò la componente dominante che successivamente la fece sentire un uomo. In un primo momento vediamo, quindi, che per Beauvoir la ragazza, essendo stata privata della tenerezza materna, poteva aver sviluppato un complesso di Edipo maschile. Successivamente, invece, ella ci dice che è molto importante sottolineare che non è sufficiente parlare della fissazione per la madre per spiegare l’inversione della figlia. Per Beauvoir, quindi, l’omosessualità non ha un’unica causa e non deriva da un fattore preciso e determinato. Se trattiamo, dunque, l’omosessualità come qualcosa che deriva da qualcos’altro, è possibile dire che sicuramente la causa non può essere sempre certa e determinata e non può senza dubbio essere valida per tutti i soggetti. Infatti, possono essere molteplici le cause. Come avevamo già visto in un paragrafo precedente, ella afferma che «non è sempre il rifiuto a farsi oggetto che porta la donna all’omosessualità». Invece, la maggior parte delle lesbiche cercherebbero, al contrario di ciò che affermano gli psicoanalisti, di impadronirsi dei tesori della propria femminilità attraverso l’amore di una donna che è in grado di soddisfare appieno la sua “amica”. Anche per quanto riguarda il narcisismo nel rapporto tra la madre e la figlia, l’autrice ci dice che esso non porta sempre all’omosessualità femminile. Ecco che con la descrizione del caso di Sarolta, ma anche attraverso la narrazione di altri casi simili, notiamo che Beauvoir afferma che è difficile per lei riuscire a individuare dei fattori certi.
[...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

La costruzione e la decostruzione del genere: alcune riletture freudiane in chiave femminista e queer

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Informazioni tesi

  Autore: Enrica Valenza
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Lettere e beni culturali
  Corso: Scienze filosofiche
  Relatore: Manlio Iofrida
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 125

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Parole chiave

donna
femminismo
queer
sesso/genere
butler
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