L'ADHD e il benessere psicologico, in età evolutiva e nei contesti scolastici

L’ADHD è stato considerato per molti anni come una condizione esclusivamente infantile e adolescenziale, tuttavia numerosi studi longitudinali che hanno seguito e studiato individui con diagnosi di ADHD dall’età prescolare sino all’età adulta, mostrano come questo disturbo debba essere considerato una condizione “Lifespan” (Asherson, Buitelaar, Faraone e Rohde, 2016), che interessa tutto l’arco del ciclo di vita, con delle ripercussioni non soltanto in ambito formativo e scolastico, ma anche in ambito lavorativo, finanziario e legato alla sfera coniugale (Becker, 2020). Alcuni sintomi sembrano caratterizzare la condizione in modo diverso nelle differenti fasi dello sviluppo, mostrando quindi delle diversità a seconda della fase evolutiva specifica. Ad esempio, i sintomi inerenti all’impulsività e all’iperattività, molto presenti nell’infanzia, tendono a diminuire con la crescita, lasciando più spazio ai sintomi inattentivi. Studi longitudinali hanno mostrato invece come i sintomi di inattenzione siano persistenti dall’infanzia all’età adulta, l’esatto contrario di quello che accade per i sintomi di iperattività e di impulsività (Becker, 2020).

L’ADHD quindi sembra essere una condizione persistente nel corso del ciclo di vita, ma con delle differenze per quanto riguarda la sua presentazione sintomatologica a seconda delle diverse fasi dello sviluppo, con una certa persistenza dei sintomi inattentivi.
La prevalenza del disturbo in età adulta è stata analizzata negli Stati Uniti da Barkley, nel 2012, riportando una stima del 5%; una metanalisi effettuata da Fayyad e collaboratori, nel 2007, ha riportato prevalenze simili in altri paesi, mostrando come la prevalenza dell’ADHD in età adulta sia per lo più analoga in differenti nazioni e in culture diverse (Barkley, 2015). In Italia, la prevalenza del disturbo in età adulta è del 2.8% (Fayyad et al, 2007).