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Mafia e quotidiani: i casi di «La Repubblica» e «Il Giornale»

''Il destino di Andreotti''

La parola «Fine» campeggiava a caratteri cubitali il 24 ottobre 1999 su «Il Giornale»; sotto, il catenaccio spiegava che cos’era giunto alla fine: «Assolto Andreotti: in due parole liquidati sette anni di indagini e un milione di pagine di verbale. Si chiude l’epoca del partito delle Procure. Bufera su Caselli e Violante, chieste le dimissioni». In due righe la redazione del quotidiano aveva già detto tutto, ma nelle pagine interne numerosi articoli spiegavano punto per punto la vicenda giudiziaria che era diventata il processo del secolo. Ancora in prima pagina, però, si leggeva un articolo di fondo in cui Mario Cervi descriveva le macerie di una «gigantesca costruzione d’accusa che era crollata», in cui sarebbero rimasti intrappolati «i fautori di colpevolezze inesistenti, gli addetti al partito delle Procure, i riscrittori in chiave di sinistra della storia d’Italia, i tifosi dei pentiti».
Cervi continuava poi dicendo che il processo al senatore non si sarebbe dovuto fare e accusava il procuratore Caselli e i suoi colleghi di aver voluto imbastire un’accusa sulla base di elementi insufficienti e di aver inoltre fatto di tutto affinché il processo rimanesse nel capoluogo siciliano. Poi un paginone de «Il Giornale» riportava la cronaca della mattinata che Andreotti aveva trascorso nel suo studio a Palazzo Giustiniani in attesa del verdetto. Secondo il giornalista Andrea Tornielli, con la sentenza emessa dal Tribunale di Palermo, non solo cadevano le accuse pronunciate nei confronti del "Divo" Giulio, ma venivano letteralmente cancellati i fatti, non esistevano più né il bacio di Riina né gli incontri presso gli hotel dei Salvo.
Dalle parole di Tornielli si evince che i giudici si siano affidati all’articolo 530 del codice di procedura penale senza tener conto che in quell’articolo esiste un secondo comma; esso non viene mai citato. Tutto ciò che interessa all’editorialista è raccontare la giornata del senatore assolto, le telefonate degli amici che si congratulano per il successo, i piatti del pranzo in famiglia.
La questione del secondo comma dell’articolo 530 è invece affrontata dall’inviato Stefano Zurlo, il quale ricalca in parte l’idea del collega Tornielli, ribadendo che tutti i fatti narrati dai collaboratori di giustizia erano privi di veridicità e che non si è nemmeno avuta prova «della contiguità di Andreotti ai boss, il suo muoversi disinvolto a cavallo della linea che separa lo Stato dall’anti-Stato». Ma per capire appieno la portata del verdetto si deve valutare meglio la formula dell’articolo 530; Zurlo però scrive che il riferimento a quel secondo comma potrebbe – condizionale – rimandare all’insufficienza di prove, ma secondo la sua opinione e quella dell’avvocato Coppi raccoglierebbe un ventaglio di situazioni diverse.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Mafia e quotidiani: i casi di «La Repubblica» e «Il Giornale»

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Informazioni tesi

  Autore: Federica Pizzuto
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli Studi di Bergamo
  Facoltà: Scienze Umanistiche
  Corso: Lettere
  Relatore: Oliviero Bergamini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 90

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