La nuova Brexit: scenari futuri
È proponibile – e opportuno – un secondo referendum sulla Brexit?
Molti degli elettori che hanno votato per il Remain nel referendum del 23 giugno 2016 sperano che quella non sia stata l'ultima occasione per potersi esprimere, con l'obiettivo che il primo verdetto possa essere in futuro sovvertito.
Nelle quattro settimane successive al referendum, oltre 4 milioni di elettori hanno firmato una petizione che chiede un secondo referendum.
Alcuni politici – e in particolare il candidato alla leadership del partito laburista, il deputato Owen Smith – hanno appoggiato, e appoggiano tutt'ora, tale opzione.
Ma un secondo referendum è davvero possibile? Non c'è alcun dubbio che esso sia possibile: il parlamento può legiferare su un referendum relativo a qualsiasi argomento ogni qualvolta lo ritenga opportuno.
Ma se l'obiettivo è tenere un altro referendum per cercare un risultato diverso, allora la questione richiede un'analisi attenta.
Occorre infatti rispondere a quattro domande chiave.
Per cominciare dobbiamo chiederci che tipo di secondo referendum abbiamo in mente. Fin dalle prime settimane successive al voto ne sono state proposte tre varianti, più o meno sopravvissute fino ad oggi.
La prima è la semplice replica del referendum già tenutosi.
La petizione appena citata richiede in effetti questa opzione, basandosi sul margine ridotto della prevalenza del Leave e sul fatto che, considerando l'affluenza, solo il 37% degli aventi diritto al voto ha sostenuto questa opzione.
Molto probabilmente – anche se non vi sono prove certe di ciò – i firmatari sono sostenitori del Remain delusi per la vittoria del Leave in quella che ritengono essere stata una campagna profondamente menzognera. Sperano che, con una posta in gioco più chiara, un secondo referendum possa produrre un risultato diverso.
La seconda opzione vede il risultato del voto come una dimostrazione di generale insoddisfazione sul funzionamento attuale dell'UE piuttosto che una precisa volontà di lasciare del tutto l'Unione. Invece di innescare il processo di ritiro, il governo potrebbe chiedere una rinegoziazione più profonda dei termini di appartenenza, poi spiegare al paese che è opportuno confermare la membership sulla base di queste nuove condizioni.
Quest'approccio è, in realtà, a ben vedere, una rimodulazione trasversale del punto di fondo del Leave.
La terza opzione prevede di procedere con l'attivazione dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona, per poi tenere un secondo referendum dopo la fine dei negoziati, sull'accettazione o meno dell'accordo raggiunto.
Questo è il tipo di referendum introdotto nel 2017 dall'ex parlamentare Owen Smith, ora portato avanti dal partito laburista.
È abbastanza chiaro che la seconda di queste opzioni è fuori discussione (e non è mai stato veramente percorribile), dal momento che il paese si è espresso a favore della Brexit. Nessun politico – in particolare nessun politico che guida oggi il partito conservatore – potrebbe interpretare il significato del referendum in modo diverso. In effetti, pochi giorni dopo il referendum Johnson scrisse un articolo in cui sembrava sostenere che una forma blanda di Brexit potesse conservare la libertà di circolazione dei lavoratori – e questo è stato sufficiente per indispettire i suoi colleghi di partito.
In linea di principio, la prima opzione ha diversi meriti.
Ci sono buone ragioni per sostenere che un cambiamento così radicale come l'uscita dall'Unione europea non debba essere deciso sulla base di una maggioranza esile e rilevata in uno specifico momento temporale.
La procedura più comune per i cambiamenti costituzionali fondamentali nelle democrazie prevede che prima vi sia un atto legislativo, e che solo in seguito un referendum lo ratifichi.
Ciò implica infatti che l'opinione pubblica venga consultata tre volte: in primo luogo, i cittadini votano per un governo che si è fatto promotore del cambiamento; poi il parlamento discute e approva le riforme, ed infine i cittadini esaminano la questione e decidono se ratificarla.
Questo è il percorso che ha caratterizzato, ad esempio, il referendum sull'indipendenza scozzese nel 2014, il cui percorso si era avviato con la conquista di una maggioranza assoluta dei seggi da parte dello Scottish National Party nelle elezioni del 2011.
Qui, al contrario, il governo Cameron non si era insediato con un programma che prevedeva di lasciare l'Ue, opzione mai votata in parlamento: l'opinione pubblica è stata testata una volta sola.
Tuttavia, mentre si può e si deve sperare che vengano meglio regolate le procedure di funzionamento sui referendum per renderli più coerenti ed efficaci, questo rimane appunto un auspicio per il futuro. [...]
Questo brano è tratto dalla tesi:
La nuova Brexit: scenari futuri
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Informazioni tesi
Autore: | Davide Comelli |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2019-20 |
Università: | Università Telematica Pegaso |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Economia aziendale |
Relatore: | Aldo Vastola |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 60 |
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