Produttività nella città della Disfida tra XIX e XX secolo. Barletta tra storia e archeologia industriale.
Uno dei momenti più evidenti della natura umana è certamente rappresentato dalla civiltà industriale, quella stessa che noi ancora viviamo nei suoi sviluppi più recenti della — robotica e dell'informatica —. Per una sorta di metabolismo insito nell'accelerazione e nello sviluppo esponenziale del processo produttivo, la rivoluzione industriale — per usare una definizione a tutti nota — molto spesso abbandona gli strumenti, le strutture e gli ambienti che via via si rendono obsoleti, disperdendo in tal modo anche le testimonianze delle sue origini e della sua storia. —Non è affatto inverosimile l'ipotesi che fra pochi anni i resti del recente passato produttivo saranno più rari delle testimonianze di epoche remote —.
Questa previsione formulata a proposito dell'Inghilterra, che possiamo definire il paese dell'avanguardia delle problematiche dell'archeologia industriale, si dimostra tanto più drammatica se rapportata alla situazione Italiana, dove l'interesse per i resti del passato, troppo tempo legato ad una lettura idealistica della storia, ha discriminato un patrimonio di “primo grado”, degno di salvaguardia, ed un patrimonio, non considerato realmente tale, lasciato ai naturali processi di degrado, se non eliminato dal territorio stesso, via via che venissero meno le funzioni produttive cui esso era chiamato in origine.
Preziose testimonianze del recente passato industriale segni tangibili di profondi mutamenti sul territorio, strutture, spazi e forme, rischiano, non solo di essere dimenticati, ma di uscire per sempre dalla nostra memoria.
D'altronde, a causa del ritardo con cui la rivoluzione industriale si è sviluppata in Italia rispetto agli altri paesi d'Europa, gli oggetti lasciati dall'industrializzazione sul territorio mostrano i caratteri propri del “monumento” ma appaiono per lo più contenitori abbandonati, privi di funzioni artistiche, storiche, economiche, sostanzialmente inutili e come tali non necessitanti di alcun tipo di intervento. A tale proposito si deve ricordare che tali manufatti non presentano quelle caratteristiche di estetismo che connotano l'opera d'arte e che, d'altra parte, la maggioranza del pubblico richiede. Il monumento industriale, in tale direzione, ha certamente poco da offrire, poiché esso nasce come risposta concreta e funzionale ad esigenze produttive ed economiche, con poco spazio quindi per elementi sovrastrutturali o di rappresentanza.
L'archeologia industriale, disciplina giovane, è nata nell'Inghilterra negli anni '50, anni in cui, nel disegnare il piano di rinnovamento dell'industria, si rimeditava sul vecchio modello, frutto della rivoluzione industriale, che profondamente aveva segnato il passaggio urbano e rurale, e ci si interrogava sul che fare di un patrimonio importante di edifici destinati, sembrava, ad un inevitabile distruzione. Negli anni '70 la materia “sbarcò” nel continente. In Italia catalizzatori dell'interesse per l'archeologia industriale possono essere considerati la vicenda del mattatoio di Roma (Testaccio) e l'arrivo della mostra fotografica curata dal British Council “I Resti di una Rivoluzione”*, entrambi gli avvenimenti risalenti agli anni 1977-78. Momento di riflessione e confronto delle condizioni italiane e straniere fu il Convegno Internazionale* tenutosi a Milano nel settembre del 1977. Il significato dell'Archeologia Industriale veniva ben definito da Aldo Castellano. Egli indicava come obbiettivo la valutazione dell'edificio industriale nel contesto della storia sociale e tecnologica evitando il rischio di ridurre la disciplina ad un momento della storia della tecnologia, o di limitarne la lettura ad alcuni suoi aspetti particolari. La natura dell'edificio industriale poteva essere definita solo attraverso la complessità delle sue relazioni interne ed esterne, difficilmente separabili in campi disciplinari senza dissolvere l'unità del fenomeno e la sua reale storicità. Di qui la necessità di giungere alla definizione di una nuova disciplina contraddistinta da un forte approccio antropico. Il congresso di Milano poneva, inoltre, il tema delle politiche di intervento sui manufatti industriali. Per quanto riguarda la politica di utilizzazione ci si indirizzava in una linea di conservazione a fini museali o per la creazione di servizi collettivi.
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Informazioni tesi
Autore: | Bart Filannino |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Lecce |
Facoltà: | Beni culturali |
Corso: | Beni Culturali |
Relatore: | Antonio Monte |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 224 |
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