Il perdono di se stessi è possibile
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Penso che l’argomento trattato nella mia tesi possa interessare molte persone sofferenti di sensi di colpa, che non sono a conoscenza della possibilità di esserne liberate. Per sostenere questa affermazione, che può apparire presuntuosa, accenno brevemente al mio percorso di vita, nel quale ho sperimentato la possibilità di perdonare me stessa. Ho vissuto infanzia, adolescenza, e giovinezza con un forte senso di colpa, ma anche con il desiderio di trovarne il motivo.
La ricerca di una risposta alle domande che da tempo mi ponevo divenne impellente a seguito di gravi lutti familiari. Il dolore per la perdita di persone care non era disgiunto da un senso di sollievo per la fine di una situazione di malattia angosciosa e disperante, che per parecchi anni mi aveva bloccato il pensiero ed il moto che si limitava a gesti doverosi da compiere, ma divenuti meccanici, in giorni sempre uguali. Ma quel pensiero di sollievo divenne inammissibile alla coscienza e si tramutò ben presto in un ulteriore senso di colpa: in quel momento la certezza che anche la morte facesse parte di un destino buono era in me oscurata e sentivo Dio lontano, forse nemico, certo giudice severo.
Il desiderio di un riscatto mi ha lanciato nella ricerca di una risposta, nella ricerca della verità e della ragione dell’esistenza, con parole ben espresse in molti esempi letterari: “Signore se ci sei fatti vedere”. Egli non ha tardato a farsi incontrare attraverso persone che mi sono diventate amiche, all’interno della Chiesa, che con la loro amicizia mi hanno fatto percepire che un disegno buono sulla mia vita c’era e che aveva dovuto passare anche attraverso il dolore per poter cominciare a riconoscerlo quando mi si presentava in volti amici.
Per comprendere pienamente quanto mi stava accadendo è stato necessario l’impegno di un’intera vita, nella quale non sono mancate occasioni che ho usate come tentativi di conoscenza. Esse mi hanno condotto a lavorare nel sociale, ricavandone risposte mai completamente soddisfacenti, perché parziali e spesso deluse da contrasti e ostilità, che annullavano il beneficio ricevuto: frutto in parte di un' impegno di volontaria abnegazione (definita da Freud: “forma reattiva”, in quanto sottendente il bisogno di riscatto, inconsciamente suggerito dal senso di colpa), ma non sorretto da giudizi chiari su ciò che si può dare con reale libertà. Queste esperienze non furono inutili: alcune risposte alle mie domande di verità, sulle problematiche psicologiche che mi trascinavo dall’infanzia, iniziarono a farsi strada attraverso la formazione educativa di cui ho potuto usufruire in un Centro socio educativo (C.S.E.) in cui ho lavorato per molti anni. Qui ho avuto l’opportunità di conoscere un metodo di lavoro, adottato con persone portatrici di problematiche psicologiche gravi, che cominciava a dare risposta alle mie domande. Si trattava dell’approccio psicoanalitico usato dal C.S.E per la formazione del personale educativo, di cui avevo necessità per svolgere con competenza e responsabilità il lavoro professionale. Tale approccio mi ha permesso la rivisitazione e la conoscenza del mio pensiero riguardo a me stessa e ad ogni persona umana reputata sia sana che malata.
Nel lavoro di questa tesi ho potuto approfondire e chiarire, attraverso la ricerca e il paragone con diverse teorie psicologiche e psicoanalitiche, le cause e le conseguenze del disagio, non ancora completamente risolto, del senso di colpa che mi trascinavo dall’infanzia.
La stesura dell’elaborato si avvale di concetti già parzialmente chiariti attraverso il lavoro psicoanalitico che hanno potuto raggiungere una maggiore sistematizzazione e chiarezza.
Essenziale è stato il conseguente guadagno in serenità e l’incremento “economico” umano sia cognitivo sia dell’io, in cui un sano uso della ragione e della fede ha portato frutti di ricche ricadute positive nel rapporto con me stessa e con gli altri oltre ad un incremento di professionalità in campo educativo e nelle relazioni di aiuto alla persona, lavoro che svolgo come professionista privata.